“A’ France’… credi ancora alla favola di Cappuccetto Rosso?”. Penso che più di qualcuno abbia commentato, più o meno con queste parole, l’Angelus di domenica 21 luglio, quando papa Francesco ha detto: “le Olimpiadi, secondo l’antica tradizione, siano occasione per stabilire una tregua nelle guerre, dimostrando una sincera volontà di pace.”
La situazione che stiamo vivendo ci porta davvero a pensare che ci possa essere una tregua? “Siamo realisti!”, è il ritornello che sentiamo ripetere da quasi tutti: mass-media, politici, opinionisti, strateghi, economisti. Come già detto altre volte, i potenti vogliono la guerra. E la parola ‘Pace’ sta diventando sempre più una parola scomoda, sconveniente.
Eppure nella lettera agli Efesini di domenica scorsa, San Paolo ci diceva “Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne.” Insomma ‘pace’ diventa quasi una ‘parolaccia’. Se dici pace stai con il più forte, e così via. Come è successo quando il Papa ha parlato di bandiera bianca. Parlare di pace e nonviolenza sembra una cosa fuori dal mondo e lontana da buon senso. “Bisogna essere realisti!”. Ma è proprio il realismo che ci chiede di chiamare guerra le operazioni militari. Di chiamare morti e non effetti collaterali le persone cancellate dalla guerra. Di chiamare bombardamenti il lancio di missili su Gaza e non ‘martellamenti’.
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Don Renato Sacco, Consigliere nazionale di Pax Christi