“Peggio di così non si potrà andare…Così dicevo un anno fa”. E invece? “Invece mi sbagliavo, siamo andati sotto il peggio di quel peggio. Prima è stata la siccità, ora il maltempo. Oltre due mesi di pioggia e freddo hanno dato il colpo di grazia ad api e produzione. Una catastrofe”. Adornino Scacchi di Oleggio, uno dei maggiori produttori di miele piemontesi, è sconsolato mentre osserva i suoi 4 mila alveari, ognuno dei quali dovrebbe avere una potenzialità di 60-70 mila api in periodi di normalità: “Quest’anno invece non trovano neppure il modo di nutrirsi, a causa della mancanza di fioriture. Rischiano seriamente di scomparire, insieme come molte aziende”. Quando pronuncia il verbo “scomparire” Scacchi non ha il coraggio di tradurre in un termine più definitivo e drammatico: morire di fame.
Per scongiurare questo evento naturale, che andrebbe a impattare anche sulla biodiversità, l’esistenza dell’agricoltura e in ultima sintesi la nostra sicurezza alimentare, gli apicoltori italiani sono costretti a ricorrere all’alimentazione artificiale: con sciroppi specifici che nutrono le api, un surrogato del nettare che avrebbero succhiato dai fiori in condizioni climatiche normali. Il che significa aumento dei costi, non compensati da ricavi annullati dalla mancata produzione di miele. In alcune zone (Novara e Verbano Cusio Ossola) la produzione dell’acacia è stata praticamente annullata (tra il 90 e il 100%).
Insomma, un comparto in ginocchio, già bombardato dai pesticidi e soprattutto dalla concorrenza straniera.
Per contrappasso c’è una valanga di miele che entra in Europa attraverso triangolazioni commerciali: Cina, Ucraina, Ungheria. Il vento dell’Est soffia forte sul prodotto Made in Italy, mette in crisi il mercato con prezzi al ribasso, ammazza i nostri produttori già provati dal clima, confonde i consumatori. Questa mancanza di reciprocità ora dovrebbe essere frenata dalla cosiddetta “Direttiva Breakfast” (o Direttiva Colazione) approvata al fotofinish dall’uscente Europarlamento e riconosciuta da tutti gli Stati membri: secondo la normativa dovranno essere indicati sulle confezioni di miele l’origine, la denominazione di vendita, l’etichettatura, l’imballaggio. Insomma, la massima trasparenza sulla tracciabilità, comprese le indicazioni di eventuali miscele.
Perché se il raccolto di acacia è stato annullato dal freddo e dalle piogge, ci sono commerciati che ricorrono al prodotto anche in Romania, Moldavia, dove le acacie sono fiorite. Ma a prescindere dalla provenienza, non sempre c’è la certezza che quel miele sia effettivamente tale: in parecchi casi è prodotto similare, ricavato attraverso sciroppi e zuccheri. Insomma, falso.
Coldiretti denuncia che nel 2024 sono aumentate del 23% le importazioni: nei primi due mesi sono arrivati quasi 4,8 milioni di chili, la maggior parte proveniente da paesi extra UE, a quotazioni stracciate (pochi euro al Kg). Rimanendo nell’area europea, si stima che l’Ungheria abbia praticamente raddoppiato le vendite in Italia. Secondo Unionfood il mercato del miele vale, complessivamente nel nostro Paese, circa 205 milioni di euro, cifra nella quale rientra quello confezionato pe i consumatori e quello usato per le industrie alimentari, cosmetici e prodotti farmaceutici.
Il Piemonte è la Regione con il maggior numero di apicoltori professionisti: 5.857 e 216.811 alveari. Novara ha 146 apicoltori professionisti e 36.090 alveari; il Verbano Cusio Ossola dispone di 116 professionisti e 7.484 alveari. A questi si aggiungono gli amatoriali: 208 nel Novarese, 272 nel Vco. Aspromiele, fra le massime organizzazioni apistiche piemontesi, ha chiesto interventi urgenti alla Regione per aiutare le aziende sull’orlo del fallimento. E’ già stato aperto un bando di accesso con un finanziamento di 2 milioni di euro.
Gianfranco Quaglia, Direttore
di Agromagazine