L’educazione è cosa del cuore. Lo sanno bene gli amici salesiani, ma vale per tutti gli educatori cristiani, che sono chiamati a prendersi cura di tante fragilità dei ragazzi: dai problemi di concentrazione ai disturbi del comportamento, fino alle situazioni famigliari precarie, a livello economico o emotivo. Il catechista sa che quei ragazzi, che gli sono affidati per un tratto di strada, sono il “prossimo” che è invitato ad amare: alcuni sono “incappati nei briganti”.
Proprio perché annuncia il vangelo di Gesù, il catechista è chiamato ad accogliere, “fasciare le ferite” col balsamo dell’attenzione, della pazienza e della fiducia, per ridare fiducia e speranza ai suoi ragazzi.
L’educazione, infatti, è anche una battaglia! Lo si sente dire, a volte come battuta. Certamente non è facile, ma il vero combattimento che i catechisti fanno in difesa dei loro ragazzi è quello contro il male e il pessimismo, come indica san Paolo nella lettera agli Efesini nell’invitare i cristiani ad “indossare l’armatura di Dio”. La catechesi offre uno spiraglio di luce e di speranza che si oppone alle tenebre del “tanto non cambia nulla”.
Quella luce che ha origine dal sepolcro vuoto di Pasqua e quella speranza che è l’unica in grado di colmare il vuoto e le ansie dei cuori. Questo investimento relazionale non si fa da soli. Ma quando è possibile con le famiglie.
Il ministero del catechista, poi, è svolto a nome della Chiesa: il clima di fraternità che si manifesta in relazioni autentiche nella comunità è un elemento fondamentale per la formazione dei ragazzi, che sono i primi a smascherare le nostre ipocrisie. Oltre che sui sacerdoti, il catechista deve poter contare anche sugli altri cristiani nel compito di annunciare il Vangelo in un mondo che si finge sordo alle parole del Signore, ma che ne ha un bisogno infinito.
Monica Prandi, referente della Catechesi per la Diocesi di Novara