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Primo maggio: Festa dei lavoratori, giorno di vacanza ma anche giorno di protesta. E’ un’occasione per reagire a ciò che non funziona perché esistono gravi lacune nella disciplina del settore lavorativo.
Andando a ritroso nel tempo, le rivendicazioni iniziano molto prima del XIX secolo e proseguono con la Grande Guerra quando le donne ricoprono ruoli di rilievo nella società e nel lavoro. Si ritrovarono a sostituire, nelle fabbriche e sul lavoro, mariti, padri, fratelli e figli partiti per il fronte. Con la fine della guerra, tutto torna come prima distruggendo le speranze di emancipazione. Di più: con l’inizio del secondo conflitto mondiale e l’avvento del fascismo vengono messe a tacere e tornarono relegate al focolare domestico.

Solo con il suffragio universale del 1946 e con la Costituzione del 1948 rinasce un barlume di speranza. Grazie alla partecipazione delle Madri Costituenti come Nilde Iotti, Teresa Mattei, Angelina Merlin vengono discussi e approvati articoli fondamentali. Come il 37, per esempio: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni”. Da quel giorno molti passi in avanti: dall’eguaglianza della remunerazione al divieto di licenziamento delle lavoratrici per causa di matrimonio, dalle leggi sulla tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri al riconoscimento dell’indennità di maternità, dalle normative in materia di sicurezza e salute sul lavoro a quelle che garantiscono assistenza familiare, e così via.

In Italia, purtroppo, normative e articoli della Costituzione costituiscono ancora una nota dolente. Il gap salariale tra uomini e donne tocca la media dell’11,1% e il tasso di occupazione femminile posiziona il nostro Stato al penultimo posto in Europa. La causa principale? Le difficoltà per le donne madri di conciliare l’attività lavorativa con la famiglia. Tale situazione le porta nella maggior parte dei casi a dover scegliere a cosa dedicare maggiori energie, decidendo spesso così di dare le dimissioni e precludersi avanzamenti di carriera.

Ecco perché nessuna Festa del lavoro sarà davvero tale fintanto che non verrà garantito il diritto di lavorare senza rinunciare a una maternità serena e compiuta.

Non c’è motivo di festeggiare il Primo maggio fintanto che ai talenti delle donne non viene riconosciuto il medesimo valore accreditato agli uomini. In famiglia, tra i banchi di scuola, nelle università, in ogni luogo di lavoro. Non c’è modo di festeggiare fintanto che si attribuisce alle donne la colpa o il merito della bellezza: fintanto che l’estetica rappresenta un tacito elemento curricolare.
Non c’è motivo di celebrare la festa del lavoro fintanto che si continua a ritenere che dietro ad un grande uomo c’è sempre una grande donna e non anche il contrario: fintanto che nei nostri ospedali non si contano tante infermiere quanto primarie, nelle aziende tante impiegate quante manager e, nelle istituzioni, tante donne quanti uomini a tutti i livelli.

Non c’è motivo di festeggiare nel pieno di una crisi sociale ed economica che si scarica innanzitutto sulle spalle delle donne. La diminuzione dell’occupazione è quasi esclusivamente al femminile quando, proprio le donne devono farsi carico, in modo quasi esclusivo, di famiglia e lavoro.

Insomma: la strada da percorrere per raggiungere quella forma di uguaglianza sostanziale, prospettata dai costituenti, è lunga. Ed è fondamentale celebrare questa giornata per ricordare le grandi conquiste ottenute e trarne ispirazione. Ha senso celebrare la memoria se la celebrazione si rivolge al futuro.
E il futuro – si sa – è donna.

Laura Fasano, Vice direttore Emerito de Il Giorno

Laura Fasano, Vice direttore Emerito de Il Giorno

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