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Appartato e tranquillo, chiuso per secoli nel suo mondo incantato tra Arcadia e Barocco miracolosamente sopravvissuto, il lago d’Orta non ha visto passare lungo le sue rive il flusso dei viaggiatori del Grand Tour che transitarono sul vicino lago Maggiore. Tuttavia anche questo piccolo lago può vantare un bell’albo d’oro di viaggiatori illustri che ne decantarono la maliosa bellezza, tanto da fornire materia per comporne ricche antologie. Come hanno fatto Carlo Carena, Lino Cerutti con Enrico Rizzi e Giulio Bedoni, autori legati a questo lago da affetto e studi, come il Verdina e il Bonfantini che li precedettero.

Il primo a descriverlo fu proprio il suo patrono san Giulio, prete e muratore, che arrivò verso l’anno 390 in compagnia del fratello Giuliano, muratore pure lui ma diacono. “Due gemelli del firmamento celeste – li definì il secentesco Lazzaro Agostino Cotta – due poppe della Chiesa ìnsubre, da’ quali, allattati con la predicazione, crebbero li popoli in gagliardìa”. Della loro vita – tra storia e leggenda – esistono varie versioni sulle quali si sono affaticati gli studiosi, a cominciare dal Cotta fino al Frigerio e Pisoni. Una di queste Vite – un manoscritto di autore anonimo – racconta che san Giulio, partito dall’isola greca di Egina per sfuggire a persecuzioni intestine, sbarcò in Italia dove ottenne dall’imperatore Teodosio l’autorizzazione a costruire chiese dovunque gli paresse opportuno. Giunto nella Pianura Padana, proseguì verso settentrione. Una mattina, ripreso il cammino allo spuntar del sole, in lontananza vide apparire la corona delle Alpi sulla quale verso occidente spiccava un’enorme montagna bianca di neve, che, all’alba, si colorava meravigliosamente di rosa e, al tramonto, di rosso fosforescente.

Raffaele Fattalini

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