Storia di Margherita, sposata, una figlia, vita macerata nella ricerca di se stessa. Scriveva poesie da quando era bambina in una disperata nostalgia di dialogo. Salvata più di una volta dal tentativo di darsi la morte. Storia di Maria Teresa. La sua scheda parla di crisi depressive profonde, ma anche creative, una donna con una capacità straordinaria di analisi interiore. Forte conflittualità con il marito, una figlia malata. «Su di lei incombeva il suicidio, siamo riusciti a seguirla e salvarla».
Due situazioni emblematiche e contrapposte, che segnano profondamente l’attività del professor Eugenio Borgna, novarese, primario emerito, il “medico del dialogo”, una vita dedicata alla psichiatria. Meglio sarebbe dire un lavoro quotidiano e incessante per dare un aiuto ai pazienti.
Ne siamo tutti affetti? «Le forme di angoscia e depressione si sono dilatate e amplificate, quelle di media gravità. Ne soffre una persona su cinque, e qualcuno è affetto anche da quella “fascinosi di morte” che induce al suicidio, perché parecchia gente ancora oggi rifiuta la psichiatria vissuta come ultima spiaggia. Invece…».
Invece il professor Eugenio Borgna, lasciata la direzione del servizio di psichiatria dell’Ospedale Maggiore di Novara, continua a dedicarsi alla professione con meno affanno e più tempo per i pazienti. E punta ancora più di prima su quel colloquio che in passato «ha fatto saltare in aria quelle contenzioni al letto da tempo infinito. Ma non sempre è stato facile, perché l’importante è instaurare un rapporto di fiducia con il malato, contano anche doti individuali. Il paziente avverte subito se il medico non entra in sintonia e si chiude nel silenzio». Borgna non si occupa solo delle forme patologiche più acute, ma si rivolge anche ai casi lievi. Forse un po’ a tutti noi. Può tracciare un quadro clinico generale? «Siamo tutti più depressi, ansiosi, più incapaci di guardare dentro di noi, trascinati da situazioni interiori. In questo mondo iperattivo in cui contano le cose fatte, l’eccellenza, la competitività, diminuiscono gli spazi della riflessione interiore. Lo spirito del tempo porta a esasperare. Cerchiamo soluzioni nell’evasione telematica e nella tv, ma non la troviamo. Se posso dare un consiglio terapeutico inviterei a leggere. Anche come semplice breviario quotidiano direi di leggere di più i giornali, per riflettere».
C’è poi un altro spazio, la famiglia, la luce vissuta come speranza in fondo al tunnel. «Vivere all’interno di essa, respirare il colloquio, così come dovrebbe essere nella scuola. L’importanza psicologica degli insegnanti è enorme. Oggi, la speranza è ancora e soprattutto il mondo scolastico. Fermarsi e riflettere: il vero tumore della vita quotidiana è la fretta».
Colloquio e non giudizio sulla malattia. «Quello “stigma”, come lo chiamiamo noi psichiatri, che porta alla condanna di chi è affetto da malattie psichiche. Essere esposti al giudizio degli altri è vivere due volte la propria sindrome».

Gianfranco Quaglia
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