La Siria vive giorni di grande importanza nella sua storia recente, è un cambiamento che la maggior parte di noi non aveva mai sperimentato, visto che il regime di Assad governava il Paese da 54 anni. Ovviamente questo fatto disorienta la gente che continua a provare sentimenti misti di gioia e sollevazione ma anche di ansia rispetto al futuro. Ieri, dopo l’annuncio della caduta del regime, c’è stata una giornata di forte caos a Damasco e nelle città costiere, dove la direzione delle operazioni militari è arrivata in ritardo per mettere un po’ di ordine e vietare spari e saccheggi. “Abbiamo avuto molta paura, saccheggi, incendi, perfino bambini di dieci anni portavano armi per le strade” mi ha detto una testimone che abita nella città di Jaramana, vicino a Damasco. Oggi la situazione sembra sotto controllo. Diverse persone esprimono la loro preoccupazione del fatto che Israele avanza, con il suo esercito, nei territori siriani, occupando la città di Qunaitra e il monte Sheik. Qualcuno addirittura teme che Israele invada tutta la Siria!
Stamattina (10 dicembre ndr.) c’è stata una riunione tra tutti i vescovi ed alcuni membri del clero aleppino con dei rappresentanti delle nuove autorità. Le autorità ecclesiastiche di Aleppo hanno chiesto questo incontro per “scambiarsi gli auguri”. La riunione è svolta nel nostro salone parrocchiale (parrocchia di san Francesco d’Assisi). Il clero aveva molte domande da fare e queste persone hanno risposto con un tono molto amichevole, dando delle risposte concrete e ragionevoli, e al contempo piene di ottimismo, sul futuro del Paese.
La prima preoccupazione in questo momento, ha affermato la persona responsabile di tenere i contatti con le comunità cristiane – è quella di garantire sicurezza e soddisfare l’emergenza delle prime necessità, poi si procederà a fornire i servizi necessari perché le attività riprendano il loro corso normale. Hanno annunciato l’apertura dell’aeroporto di Aleppo, nei prossimi giorni, per cominciare a ricevere gli aiuti umanitari e ci chiedono di sollecitare le persone che conosciamo in Occidente a pensare a riprendere i voli internazionali, visto che molti siriani desiderano tornare in Siria, almeno per vedere i loro cari.
Ci hanno garantito che le comunità cristiane potranno continuare a fare tutto ciò che hanno fatto finora. I beni ecclesiastici saranno restituiti e le scuole private cristiane proseguiranno la loro missione educativa perché queste “c’erano prima di Assad e ci saranno dopo”. Per quanto riguarda il futuro della Siria dicono di non avere un progetto predeterminato, tutto dipenderà dalla volontà del popolo siriano che ha il diritto di decidere insieme la forma del loro governo. Quando il vescovo Antoine Audo ha ricordato il ruolo dei cristiani nella cultura araba, hanno ribadito questo concetto richiamando i nomi degli scrittori cristiani più rinomati. “Voi non siete stranieri ma siete parte essenziale di questo Paese come lo siamo anche noi”, queste le parole pronunciate in un clima molto sereno.
I siriani sono rimasti scioccati dalle immagini delle carceri sotterranee che ora sono state aperte per liberare i detenuti politici. Le immagini che si trasmettono da quei luoghi di morte non possono non rievocare quelle dei campi di concentramento nazisti. Centinaia di migliaia di detenuti a vita senza tribunali, senza il minimo delle condizioni umane, anzi, strumenti di tortura inimmaginabili, e persone ridotte a fantasmi a causa della fame e delle torture. Questa ferita si aggiunge alle altre ferite del popolo siriano. Moltissime famiglie non osavano nemmeno dire che un loro caro era scomparso nelle carceri del regime, il terrore li costringeva a tacere, ma la sofferenza nel cuore li consumava dentro. Ora che queste carceri sono state aperte tutti corrono per sapere se il loro caro è ancora in vita, o se le sue capacità mentali gli permettono ancora di riconoscerli. I siriani, tutti, ora chiedono giustizia, non solo riguardo agli uomini del regime ma anche a chi l’ha sostenuto per molti anni ed ha privato i siriani dei loro diritti più basilari. Giustizia perché il carcere che ha detenuto tutti i siriani più di cinquant’anni, non si ripeta mai nella storia.
Di Bahjat Elia Karakach, Parroco di San Francesco in Aleppo
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