Nel 2018, il mio cammino di studio sui Sacri Monti mi ha portato nel Canavese, a Belmonte, il più occidentale e il più recente dei nove siti dichiarati patrimonio dell’Umanità dall’Unesco (è stato fondato nel 1712). E’ compreso in un’area naturalistica protetta di 349 ettari e costituisce uno dei Sacri Monti in cui la componente forestale e paesaggistica è preminente.
Dedicato alla Passione di Cristo, si estende su un affioramento roccioso che per la sua natura granitica ha resistito agli agenti erosivi dei tempi geologici e all’alternanza dei climi, ammantandosi fieramente di verde.
Fu il frate francescano Michelangelo da Montiglio, di ritorno dalla Terra Santa, a progettarne la costruzione, in un’area adiacente a un santuario antichissimo dedicato alla Madonna, che risale all’inizio dell’XI secolo.
Quello che mi colpì subito (e che tutti sorprende quando si arriva) fu la vista mozzafiato che dalla terrazza del santuario si apre su questa fetta piatta di Piemonte, nel punto in cui le propaggini delle Alpi declinano sulla pianura; ma dovevo ancora capire che, più che una straordinaria coincidenza, la posizione panoramica è una prerogativa dei Sacri Monti.
E quel che ancor più mi commosse fu il bosco lussureggiante (castagni, betulle, querce, frassini, ontani neri) che avvolge interamente le pendici del colle fino alla sommità, dove aveva concesso di fare da cornice alle 13 cappelle del percorso devozionale. Qui sopra il tragitto si svolge ad anello, regalando splendidi affacci e culminando nel punto più alto del ‘Belmonte’, con una vista da capogiro, dove, nel 1960, è stata collocata una statua di San Francesco.
Il 25-26 marzo del 2019 un vasto incendio (a quanto pare doloso), complice il forte vento e il prolungato periodo siccitoso, ha devastato parte del colle causando danni ingenti all’area forestale, con tutti gli animali che vi trovavano rifugio, e al Sacro Monte.
In poche ore le fiamme hanno distrutto un bosco che ha impiegato decenni a costituirsi e che rappresentava un piccolo santuario per una flora e una fauna sempre più irreggimentate dai confini umani.
Il pensiero mio è andato subito a Eleonora (la guardiaparco) e al ricordo di una foto che mi ha mandato quell’estate di una mamma capriolo colta con i suoi due piccoli in una radura: l’aveva commentata dicendo che il suo lavoro in fondo concedeva anche questi fugaci privilegi.
Al di là della retorica, restano nella memoria un’immagine simbolica e la constatazione amara che l’incendio forse è stato soltanto uno degli sfregi fatti al Patrimonio della Natura dall’opera di una certa Umanità.
Francesca Giordano, Presidente dell’Ente Gestione Sacri Monti del Piemonte