La risaia si restringe. Anzi, cambia pelle e fisionomia. Una cura dimagrante intensiva senza precedenti, che preoccupa e potrebbe avere contraccolpi su tutto il settore agricolo. Colpa della siccità: il “climate change” influisce sulle scelte degli agricoltori. L’Ente Nazionale Risi, come avviene in tutte le stagioni invernali, lancia un sondaggio sulle intenzioni di semina, scegliendo un campione di aziende. I risultati parlano da sé: la superficie risicola italiana, già limata lo scorso anno, perderebbe altri 7.621 ettari attestandosi a 210.800. In percentuale un meno 3,49%. Il Novarese potrebbe subire la decurtazione più forte, almeno in percentuale (lo scorso anno fu del -11%).
Non bastano le quotazioni soddisfacenti di alcune varietà ricercate (come il Carnaroli). E non sono attrattive per tutti neppure le indicazioni che arrivano da Bruxelles relative ai sostegni della “Politica agricola comune”, tutto sommato migliori rispetto ad altre colture. I risicoltori rinunciatari temono di affrontare ancora le difficoltà della primavera 2022 quando i costi delle materie prime (concimi e energia) legati alla guerra in Ucraina e la siccità persistente. Risultato? 26 mila ettari persi o danneggiati dalla mancanza d’acqua in Lombardia, altri tremila nel Novarese. Si è salvato soltanto il Vercellese.
Un anno orribile che i produttori speravano di archiviare. Purtroppo non sarà così, almeno stando ai dati idrometrici che arrivano ogni giorno: il livello del Lago Maggiore è sotto la media stagionale. Con le riserve di neve insufficienti c’è il forte rischio che non si possa garantire un flusso normale.
Gli appelli lanciati dai campi finora sono caduti nel vuoto. La soluzione ci sarebbe, ma finora è rimasta inattuata: “imprigionare” la poca acqua piovana (quando c’è) negli invasi e nei bacini artificiali, costruire in fretta almeno vasche o laghetti. Il PNRR ha previsto per questi progetti due miliardi su tutto il territorio nazionale: una goccia nel mare asciutto e sconfinato delle necessità. Il Consorzio irriguo Est Sesia di Novara ha ipotizzato la realizzazione di quattro vasche di raccolta attorno al Canale Cavour: in ogni caso tutti progetti che difficilmente vedrebbero la luce nel 2023.
Questa situazione sta favorendo le importazioni, perché l’industria di trasformazione (le riserie) hanno urgenza di materia prima. I consumi sono in crescita: la domanda è soddisfatta da Cambogia e Myanmar. Questa tendenza potrebbe essere ancora più marcata. All’industria italiana servirebbe un allargamento della risaia a 250 mila ettari: traguardo impossibile da raggiungere. Un’utopia.
E il riso made in Italy? “Stando così le cose la risaia del futuro non sarà per tutti, ma per pochi” dice Manrico Brustia di Novara, responsabile del gruppo riso della Confederazione italiana agricoltori. E aggiunge: “Il 20 febbraio incontreremo la Regione Piemonte per fare il punto della situazione. Che è grave e potrebbe essere peggiore della scorsa stagione. Chiediamo di conoscere subito quali saranno le disponibilità d’acqua, in modo tale da orientarci e modulare le semine. Qualche margine esiste ma va utilizzato bene: ad esempio una deroga al deflusso minimo vitale del Lago Maggiore, per assicurare più acqua ai campi nei momenti di necessità. Questo vale anche per i bacini alpini idroelettrici: rilasciare ora il meno possibile e operare rilasci più avanti, quando avremo bisogno di irrigare. In realtà non dobbiamo nasconderci che l’agricoltura del nostro territorio è destinata a cambiare assetto”.
Le alternative? Fabrizio Rizzotti di Vespolate, presidente Campagna Amica e Agrimercato di Coldiretti Novara Verbano Cusio Ossola, è corso ai ripari. Lo scorso anno ha perso la quasi totalità della produzione, ora punta su altre colture. “Il 40 per cento della superficie risicola – conferma – l’ho riconvertita a orzo. Impossibile rischiare. Un’annata persa è sopportabile, due consecutive sarebbero un tracollo per chiunque”.
“Gli indennizzi previsti dal Ministero – osserva Giovanni Chiò, presidente di Confagricoltura Novara e Vco – devono essere ancora definiti per le aziende che hanno presentato richiesta di ristoro. In questi giorni si stanno concludendo le istruttorie. Gli aiuti saranno attribuiti a chi ha subito danni superiori al 30 per cento della produzione lorda, calcolata sulla base di una media degli ultimi cinque anni. Nel frattempo i costi di produzione sono lievitati e le marginalità diminuite. Non c’è dubbio: il volto del territorio è destinato a cambiare”.
di Gianfranco Quaglia, direttore di Agromagazine.it