Il testo conclusivo del Sinodo non è un documento preconfezionato, ma il frutto di un ascolto paziente, di tanti volti e storie, di un cammino condiviso che è durato quattro anni.
Leggendo il testo, abbiamo percepito un invito forte alla conversione pastorale: non basta cambiare le strutture, dobbiamo cambiare il cuore. Il Sinodo ci ricorda che la comunione non è una parola astratta, ma un modo concreto di vivere la fede insieme, superando diffidenze e individualismi.
Ci sembra decisivo il passaggio che parla della corresponsabilità dei laici e della necessità di valorizzare i carismi di tutti: uomini, donne, giovani, persone segnate dalla fragilità. È un passo avanti vero nella direzione di una Chiesa che non “include” dall’alto, ma cammina insieme dal basso. Il testo conclusivo non chiude nulla, ma è una chiamata a vivere la sinodalità. Il Sinodo non è finito, continua in ogni parrocchia, in ogni famiglia, in ogni comunità. Se metteremo in pratica anche solo una parte di ciò che questo testo propone, la Chiesa italiana potrà davvero essere lievito e speranza per il nostro tempo.
Ci spiace constatare come la risonanza mediatica si sia invece concentrata su particolari, oscurando la ricchezza del testo.
Negli stessi giorni si è celebrato il giubileo delle equipe sinodali e degli organismi di partecipazione di tutto il mondo, in dialogo con papa Leone XIV. È stata un’occasione di condivisione delle esperienze e un momento intenso di Chiesa. L’Unico Spirito che soffia in ogni angolo della terra, suscitando profezia nelle donne e uomini di buona volontà.
I delegati diocesani per il Sinodo Valeria Artuso, don Brunello Floriani, Romina Panigoni, Alessandro Sacchetti
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