Ci sarebbe bisogno di neve (e di acqua) ma il tempo sembra caratterizzarsi per il bel tempo tanto che le precipitazioni restano affidate al ricordo.
Le nevicate più ricorrenti sono quelle “da raddolcimento”: la Pianura Padana occidentale offre una chiusura orografica su tre lati (in particolare quella data dall’Appennino Ligure a sud) ed è propensa ad accumulare freddo durante la stagione invernale. Le correnti miti, sospinte da un fronte caldo in risalita dal Mediterraneo, prima di riuscire a rimuovere il cuscino di aria fredda, provocano nevicate diffuse, tanto più durature quanto più è stata massiccia l’irruzione fredda dei giorni precedenti.
I grandi eventi nevosi del passato si verificavano tutti a seguito di avvezioni di aria fredda e talora gelida, di origine artica o continentale, a cui subentrava una perturbazione atlantica o mediterranea. Erano nevicate destinate quasi sempre a trasformarsi in pioggia ma che riuscivano ad accumulare spessori al suolo anche dell’ordine dei 15-30 centimetri.
La grande neve del 13-16 gennaio 1985 ebbe un ulteriore ingrediente. Dopo la potentissima irruzione dei giorni precedenti che fece scendere il termometro fino a -12° in centro città e -17° nelle campagne, si formò un vortice depressionario che rimase stazionario sul Golfo Ligure per diversi giorni. Mentre richiamava aria mite, riceveva comunque continue alimentazioni derivate dal flusso di quell’aria gelida che permeava il continente. Nevicò per quattro giorni di fila e dovette perfino intervenire l’esercito per sgomberare la città dall’immensa mole di neve. I centimetri furono ufficialmente 67 (dato ricavato dalle schede manoscritte dell’ex Ufficio Idrografico del Po) ma nell’alta provincia si sfiorarono i 90.
Talora accade l’opposto. In presenza di avvezioni di aria artico-marittima può scavarsi una depressione tra la Francia e le Alpi occidentali. Il progressivo afflusso di aria fredda in quota, anche quando le condizioni di partenza sono miti, unito alla forza delle precipitazioni che scaraventano il freddo dall’alto verso il basso, determina il graduale passaggio di stato da pioggia a neve. In genere questi episodi si limitano a spruzzate di pochi centimetri, che formano il famoso “paciocco”, termine nostrano per definire la poltiglia umida e ingrigita sulle strade.
Assolutamente falsa la convinzione popolare (un po’ passata di moda, a dire il vero) che “fa troppo freddo per nevicare”. Anzi, le nevicate più intense si sono sempre verificate dopo periodi di gelo importante.
Probabilmente questa falsa credenza nasce dal fatto che noi, vivendo in un clima mai particolarmente rigido, siamo abituati a veder nevicare con temperature intorno allo zero. In realtà è proprio la sensibile riduzione del freddo ad avere abbattuto la probabilità di veder nevicare sulla pianura novarese. Novara è passata dai 29 cm di media storica (perfino picchi di 40-45 cm in certe nevosissime stagioni negli anni Dieci e Quaranta) a una media di 10 (a considerare il periodo dal 2011 al 2020).
Il riscaldamento invernale, a cui siamo soggetti, è andato a diminuire statisticamente le occasioni per vedere la neve, e dall’altro ne ha ridotto durata e qualità. Quel paio di gradi medi in più è capace ormai quasi sempre di fare la differenza tra una nevicata di 15 cm e una spruzzata di 5 fradici. E spesso riesce addirittura a spostare l’ago della bilancia tra una bella “sfazzolettata” bianca e un’anonima piovuta.
Luca Dal Bello, storico del clima e Validatore dei dati del Centro Meteo Lombardo