Negli scorsi giorni ho partecipato al Pellegrinaggio di Comunione e Pace in Terra Santa. L’idea è partita dalla Diocesi di Bologna, guidata da Mons. Zuppi, e ha visto l’adesione di diverse associazioni a livello nazionale, tra cui Assoc. Papa Giovanni XXIII, le Acli, anche con la presenza del Presidente Nazionale Emiliano Manfredonia e una delegazione di Pax Christi Italia, guidata dal Presidente Mons. Giovanni Ricchiuti. Eravamo circa 160 pellegrini. Siamo stati a Gerusalemme, Betlemme e, divisi in piccoli gruppi, ci siamo recati anche nei territori occupati, incontrando varie parrocchie e diverse realtà, una ventina in tutto: rabbini, parrocchie, il Patriarca di Gerusalemme Pizzaballa, beduini, campi profughi, associazioni, familiari degli ostaggi rapiti, rappresentanti ONU e società civile. Non siamo stati a Gaza, ma si respira nell’aria un clima teso, molto difficile, anche a Gerusalemme. Pochissima gente in giro, sia a Gerusalemme che a Betlemme, dove gli unici pellegrini eravamo noi. E’ stato importante questo pellegrinaggio perché ha voluto essere un segno di vicinanza, di non abitudine alla guerra e alle sofferenze di popoli interi. Per questo è importante ritornare con i pellegrinaggi in quella Terra, per porre segni vivi di pace e di speranza.
Pax Christi da tanti anni ha una relazione particolare con quella terra e soprattutto con quelle persone, a partire dal patriarca emerito di Gerusalemme, Michel Sabbah, che vive nel piccolo villaggio di Taybeh. Lo abbiamo incontrato sabato 15 mattina e riportiamo a parte qualche stralcio dell’incontro avuto con lui.
Dopo il 7 ottobre, con l’escalation di violenza che si è verificata, ci siamo chiesti più volte cosa potessimo fare per manifestare il nostro orrore per la violenza (sia quella dei palestinesi, periodico tentativo di reagire con le armi agli 80 anni di brutale occupazione, sia quella dello Stato di Israele, che si rifiuta di riconoscere i palestinesi sia come popolo che come Stato).
Abbiamo potuto toccare con mano la disperazione sempre crescente del popolo palestinese, che non ha fine. Anche se a Gerusalemme, Betlemme e in Cisgiordania non ci sono bombardamenti, la situazione è sempre più disperata. Dal punto di vista economico, perché l’assenza di turismo, soprattutto religioso, sta mettendo in ginocchio l’economia, ed inoltre non è più possibile per i palestinesi recarsi al lavoro in Israele, ma anche dal punto di vista del tessuto sociale. Il problema degli insediamenti israeliani illegali in tutta la Cisgiordania si sta amplificando in maniera estrema. Sono quotidiane le aggressioni, le uccisioni di bestiame, gli incendi e tanti altri brutali sistemi per cercare di indurre alla fuga il popolo palestinese, colpevole solo di abitare la propria terra da molto tempo prima della nascita dello Stato d’Israele. Abbiamo condiviso ancora una volta l’impegno di resistenza nonviolenta degli abitanti del piccolo villaggio di At-Tuwani.
La brutale violenza del 7 ottobre che ha visto la morte di centinaia di giovani israeliani e la risposta di Israele, assolutamente sproporzionata e condannata fermamente dalle Nazioni Unite con varie risoluzioni negli ultimi mesi, non può che generare ulteriore odio e desiderio di vendetta, non solo di giustizia.
Per questo abbiamo scelto di andare in pellegrinaggio: per dire loro che non si sentano soli. Per condividere segni, magari piccoli, di speranza, di condivisione, di amore, di pace. Per ribadire, come abbiamo fatto in tante altre situazioni di guerra, come in Ucraina, che non è la guerra, non sono le armi la via per la pace. Anzi!
Don Renato Sacco, Consigliere nazionale di Pax Christi
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