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Tre vescovi, sette sindaci, 38 feste di San Gaudenzio. Nessuno nella nostra diocesi può raccontare meglio di don Natale Allegra il profondo intreccio tra la città, la sua gente e il santo Patrono.
Don Natale é stato parroco di San Gaudenzio dal 1982 «l’anno della risalita del Salvatore sulla punta della Cupola, un evento che emozionò e coinvolse tutta la città», tiene a ricordare nel tempo che ci concede per un colloquio in vista della patronale del 22 gennaio, un momento dove tradizionalmente società civile e comunità cristiana si stringono la mano mettendo al centro la figura del santo e la sua Basilica.

Don Natale, come accennato è stato parroco per ben 38 anni, fino al 2020, vivendo da vicino tanti momenti e incontrando tante figure che hanno fatto la storia recente della città. Tre in particolare sono stati i vescovi che ha accompagnato nel corso della celebrazione del santo: mons. Del Monte, mons. Corti e mons. Brambilla.

«Tutti – ci dice – hanno dato importanti contributi alla riflessione nei loro discorsi alla città. Ma quello che mi è rimasto molto impresso, forse perchè fu il primo cui ho ascoltato da parroco – è stato quello del 1982 tenuto da mons. Del Monte, incentrato sul documento della CEI del 1981 “La Chiesa e le prospettive del Paese” alla cui stesura il vescovo Del Monte aveva dato un contributo fondamentale».
Accanto ai vescovi ci sono stati anche sette sindaci: Riviera, Malerba, Merusi, Correnti, Giordano, Ballaré e Canelli seduti nei primi banchi, in rappresentanza di uno spaccato della società civile che li ha eletti, in una chiesa che rappresenta anche il cuore laico della città.

«Non si deve però dimenticare – dice don Natale – che questa è, ed è sempre stata, una chiesa. Venne costruita in un tempo in cui non c’erano distinzione e differenza fra la città laica e la città cristiana e c’era quindi l’impossibilità di separare la sua funzione religiosa ed ecclesiale dalla sua realtà di monumento e contenitore di opere artistiche. Quando si parla di Cupola, che viene intesa come un monumento, stiamo parlando della Cupola di una chiesa».

Ma lo sforzo è sempre stato quello di fondere i due elementi: comunità cristiana e società civile. Don Allegra ricorda, ad esempio come prima del «mio arrivo il manifesto delle celebrazioni civili e quello delle cerimonie religiose della Patronale erano separati e distinti. Ho voluto un unico manifesto per tutte e due le dimensioni fondamentali della festività gaudenziana».

Nel corso della suo lungo ministero alla guida di San Gaudenzio sono poi stati tanti i momenti in cui l’interazione tra la parrocchia e la Novara civile hanno dato luogo ad una collaborazione fruttuosa. «Ho lavorato molto – ci dice don Natale – per creare una collaborazione fra Parrocchia, Amministrazione Comunale di Novara e Fabbrica Lapidea di S. Gaudenzio. A Novara siamo di fronte ad una particolarità tutta nostra. Il consiglio della Fabbrica per le nomine, al contrario di quel che succede a Milano, dipende dal Comune e non dalla Parrocchia. L’ufficio tecnico del Comune si occupa degli aspetti architettonici e la Parrocchia degli aspetti culturali ed artistici: la collaborazione è fondamentale. Visto che parliamo di una chiesa che è anche il cuore della socità civile, nel corso degli anni è stata sempre più favorita la fruizione da parte di tutti i cittadini e non solo dei fedeli. Così la Basilica é diventata sede di concerti molto seguiti tuttora, di musica sacra, musica classica e perfino di concerti del Novara Jazz».

Un momento molto impegnativo e nello stesso tempo coinvolgente sono stati i restauri della Basilica. «Anche qui si è visto come intorno a San Gaudenzio ci sia la città. Sono stati realizzati – dice ancora don Natale – grazie alla munificenza della Banca Popolare di Novara mentre quello della sola facciata grazie alla Fondazione Banca d’Intra e della Popolare di Novara. Allo Scurolo ha contribuito la Fondazione della Comunità Novarese. Ma a me piace sottolineare come siano stati anche tanti privati cittadini a sostenere generosamente ed anonimamente i lavori di restauro delle cappelle. Una storia quindi di mecenatismo e di amore della gente comune e delle famiglie oltre che delle istituzioni, forse mai abbastanza conosciuta ed apprezzata. Questo è stato uno dei momenti più belli legati al mio ricordo di parroco di San Gaudenzio e al modo con cui è visto dalla città».

Il momento più brutto? «Non posso parlare di momenti davvero brutti in relazione alla festa ma certo la chiesa vuota e la celebrazione scarna dei San Gaudenzio del Covid restano impressi con tristezza nella mia mente. A fine gennaio 2020 si stava inziando a parlare di Covid e si invitava la gente ad una certa cautela. Poi nel gennaio 2021 quando avevo da poco lasciato la parrocchia, San Gaudenzio non ebbe il corteo dei fiori, in chiesa si entrava solo con un biglietto per limitare il numero e addirittura l’urna venne portata in chiesa per ridurre la calca sulle scale per arrivare allo Scurolo».

Il calo delle presenze, che è una realtà diffusa, è oggi un fatto che don Natale non attribuisce al calo della religiosità o almeno, non solo. «Con il Covid sono mutate tante cose – ci dice – oggi il modo di lavorare è cambiato, la gente lavora da casa e poi la città ha perso tanti riferimenti dal punto di vista lavorativo. Per la stragrande maggioranza dei novaresi il 22 gennaio è diventato un giorno come un altro: ci si alza e si va in ufficio, magari a Milano. Molti nonni hanno altro da fare che portare i bambini in chiesa e ci sono meno bancarelle. La società si è evoluta in un modo che non favorisce la partecipazione. Nonostante questo penso che san Gaudenzio continui ad essere un santo che parla al cuore della città e possa ancora insegnare tante cose qualcuna di grandissima attualità, come il valore dell’accoglienza».

Il simbolo, dice don Natale, è quel gesto «compiuto quando Gaudenzio accolse Ambrogio, un potente richiamo ad un valore che nel corso del mio ministero ho cercato di sottolineare, organizzando proprio per San Gaudenzio la Messa di Popoli. Novara dovebbe avere come esempio il momento in cui il suo Santo dona le rose al vescovo di Milano giunto in visita alla città, simbolo di generosità e apertura verso chi è povero, in difficoltà e anche straniero. Quei tanti stranieri che hanno trovato accoglienza e una nuova casa, qui nella città di Gaudenzio».

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