Il “They Didn’t see us coming”. Tradotto: “Non ci hanno viste arrivare”. La citazione tratta dal libro della femminista americana Lisa Levenstein è diventata famosa anche in Italia perché ripresa da Elly Schlein e Giorgia Meloni. Si riferisce alle donne che si sono affermate, in politica e non solo.
Ma c’è un settore dove “le hanno viste arrivare”. Ormai da qualche anno. Riconosciute non grazie allo “Spoil System” (suddivisione delle cariche) o all’attribuzione di quote rosa. Ma per meriti sul campo, anzi in campagna. Stiamo parlando del settore primario, alias agricoltura. La recente celebrazione della giornata internazionale della donna è stata l’occasione per fare il punto sulla capacità dell’universo femminile di sfondare il cosiddetto “tetto di cristallo”. Parlano i numeri: nel nostro Paese sono più di 200 mila le imprese agricole condotte da donne, numerose le under 35, che rappresentano circa un terzo del totale. Nel Sud si concentrano quasi 22 imprese su 100, nel Centro-Nord 11,7. Un’altra considerazione che emerge dal report pubblicato da Global Perspectives&Solutions: le aziende agricole femminili hanno sopportato meglio gli effetti derivanti dalla pandemia e il 28% ha aumentato il proprio fatturato rispetto al 20% di quelle condotte da uomini.
Ancora cifre. Dall’ultimo censimento Istat emerge che le donne occupate in agricoltura sono 823.000, il 30 per cento del totale. In crescita anche i ruoli manageriali, il 31,7% rispetto al 30,7% del 2010. Netta è la presenza femminile nelle attività connesse, soprattutto negli agriturismi (35%) e nelle fattorie didattiche (40,8). Le imprenditrici (meglio del termine “agricoltrici”) si contraddistinguono anche per l’alto tasso di scolarizzazione: due su tre sono laureate e svolgono attività innovative, come l’agricoltura di precisione (utilizzo delle rilevazioni aeree via satellite, con i droni, le etichette parlanti). Questa nuova fotografia dell’agricoltura del Terzo Millennio è trasversale all’appartenenza ai tre principali sindacati agricoli: Confagricoltura, Coldiretti, Cia. Ciascuna delle organizzazioni vanta una presenza significativa e tutte e tre hanno segmenti dedicati al ruolo della donna. Un ruolo che affonda le radici addirittura nella preistoria, con un impegno che è via via aumentato nei secoli, sino a diventare determinante: basti pensare ai due conflitti mondiali. In quei periodi, gli uomini al fronte, le attività rurali furono in capo a mogli, madri, figlie, anche dal punto di vista della conduzione amministrativa delle aziende.
Ora che si parla di impresa, la donna primeggia in tutti i comparti. Nel vino, e non solo, anche nel Novarese e nel Verbano Cusio Osola. Sara Baudo, laureata in scienze politiche e relazioni internazionali, mamma, presiede la Coldiretti interprovinciale ed è contitolare di un’azienda a indirizzo cerealicolo-zootecnico di Oleggio. In un recente incontro dedicato alla giornata internazionale della donna, davanti a una platea di studenti dell’Istituto Fauser di Novara, ha preso il microfono per sfatare gli stereotipi: “Basta con queste quote rosa, se siamo arrivate lo siamo per merito e capacità professionale. E lo dimostrano le numerose mie colleghe che non solo in Coldiretti sono alla guida di aziende affermate e portano la loro esperienza sul campo. Non chiediamo riconoscimenti dovuti per legge”.
In un mondo per secoli vocato alla conduzione maschile, con la donna relegata a comprimaria o lavoratrice (la mondina in risaia) l’altra faccia della medaglia a volte fa la differenza. Come nel caso di Natalia Bobba di Vinzaglio, che non è soltanto titolare d’azienda, ma da qualche anno presiede “Donne & Riso”, associazione nata a Vercelli cui afferiscono imprenditrici e operatrici del settore. Non è un sindacato e neppure un club d’intrattenimento. Ma un motore che promuove la diffusione della cultura del mondo risicolo attraverso incontri, convegni, pubblicazioni, un premio annuale dedicato a donne celebrate in Italia (dello spettacolo, dello sport e della cultura) che hanno dimostrato di avere affinità e interessi con i valori espressi dal mondo rurale. “Un modo diverso – dice Natalia – per promuovere la risaia non solo sotto il profilo economico”. Perché non si deve dimenticare che risaia e agricoltura sono parole declinate al femminile.
Gianfranco Quaglia, Direttore di Agromagazine