Quarant’anni fa Novara, e con questa l’intera Pianura Padana, sembrarono improvvisamente essersi spostate a latitudini nordiche. Prima, un gelo incredibile, di quelli durante i quali puoi uscire di casa solo se sei “impellicciato”; quindi, la nevicata che a ragione avrebbe meritato l’appellativo di “nevone del secolo”, a chiusura di un evento invernale davvero straordinario anche in relazione al clima del Novecento, notoriamente più freddo rispetto ai giorni nostri.
Un dicembre tutto sommato mite e tranquillo (a Natale non si era ancora vista la neve e a fatica brinava durante la notte) poneva le basi per un colpo di scena stravolgente. Un anomalo riscaldamento della stratosfera fece andare “in pezzi” il vortice polare; uno dei suoi lobi si allungò sensibilmente verso l’Europa, portando un fiume di aria gelida artica fin nel cuore del Mediterraneo.
Il fenomeno fu “colto” in anticipo dal colonnello Andrea Baroni, che nel corso di un famoso servizio Rai di “Che tempo fa” del 31 dicembre, pezzo da collezione, annunciò che si era alle porte di un’irruzione potente e diversa dalle altre, parlando proprio di quel fenomeno di anomalo “stratwarming” che si stava verificando. In pochi giorni, l’Italia finì nel freezer.
Il freddo, già intenso nei primi giorni di gennaio, a partire dall’Epifania divenne impressionante. Il risultato del rovesciamento di questa grande massa polare sul Mare Nostrum fu l’innesco di una ciclogenesi che per alcuni giorni stazionò sull’Italia centrale: come conseguenza, caddero 15 cm di neve su Roma, 30-50 cm di neve in Emilia Romagna, 40 cm di neve a Firenze, mentre il sud, interessato dal ramo mite della depressione mediterranea ivi stazionante, fu sempre un po’ relegato ai margini del grande gelo.
Nel frattempo, a nord dell’asta del Po ancora non nevicava o, al limite, si erano giusto verificati episodi di poco conto: a Novara si era verificato un episodio nevoso il 27 dicembre, con la caduta di 12 cm poi rimasti più che altro all’ombra; in gennaio, invece, il tempo sembrava persistere asciutto e soleggiato.
Colmatasi questa prima circolazione depressionaria, si dovette fare i conti con temperature da record, anche in zone inusuali: sono assolutamente rimarchevoli i -7.3° di La Spezia, i -10.4° di Foggia, i -11.0° di Ciampino, e i -22.0° di Firenze e Piacenza, valori questi ultimi indubbiamente esasperati dall’effetto albedo generato dall’importante spessore della neve al suolo presente tra Emilia e Italia centrale.
Nel Novarese, dove il suolo era ancora brullo, i valori termici furono meno altisonanti, ma si parla comunque di -12.5° in centro città, e fino a -17/-18° nelle aree extraurbane: -16.5° Momo, -18° alla Malpensa. I picchi minimi risalgono per lo più ai giorni 11 e 12, quelli immediatamente precedenti la grande neve. E nemmeno il Sole del giorno, ancora molto inclinato sull’orizzonte, riusciva a portare sollievo dal freddo (la temperatura in città restò sottozero senza soluzione di continuità per 10 giorni consecutivi, dalla sera del 5 alla sera del 15, con la massima dell’8 ferma a -4.3° nonostante il cielo sereno).
I giornali e le memorie della gente concordano sul congelamento totale dell’Agogna, dei canali di irrigazione, e sulla presenza di enormi stalattiti di ghiaccio che pendevano dai tetti come minacciose spade di Damocle.
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