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Nel 1674, stampato a Venezia, viene pubblicato il ponderoso volume (ben 544 pagine) Della vita di San Gaudenzio, primo Vescovo e protettore di Novara, scritto da Filippo Bagliotti, “Nobile Patrizio Novarese, Decurione e Console di Giustizia” ed offerto “agli illustrissimi Signori Presidenti e Decurioni della medema città di Novara”. Non possiamo escludere che nel lavoro venne aiutato dal figlio Giuseppe, frate cappuccino. Quest’opera si presenta come una sorta di grande romanzo agiografico che, appoggiandosi su alcuni episodi dell’assai più sintetica Vita medievale, sconfina in una serie di ricostruzioni fantastiche del tutto prive di qualsiasi valenza storica, utili però a ricostruire la situazione, la mentalità e la coscienza, civile e religiosa, della Novara del secolo XVII.

L’idea sottostante al libro è quella di mettere in evidenza la classe dirigente di Novara come promotrice del bene della città, attraverso una rilettura della vita del primo Vescovo, in una stretta identificazione esplicitata dallo stesso autore nell’introduzione: “[…] scrivere la storia di San Gaudenzio, ch’è lo stesso che servire ai motivi della pubblica felicità”. 

Non è possibile in un articolo ripercorrere tutta l’avventura gaudenziana inventata dal Bagliotti, ma semplicemente posso segnalare alcuni tra i molti episodi che – pur non sostenibili dal punto di vista della critica storica – sono poi confluiti nella tradizione popolare e nella produzione artistica.

Fra i molti l’autore espone un fatto prodigioso “che per tradizione indubitata si narra”: tornando Gaudenzio da Ivrea verso Novara si trova ad attraversare la Dora Baltea, senza la possibilità di servirsi di un ponte, “ammaestrato dal cielo […] levatosi di dosso il mantello, e stesolo sopra delle acque, montovvi sopra colla stessa confidenza, con che fatto l’havrebbe sopra di ben sicuro navilio”. Questo tipo di miracolo, cioè l’attraversamento delle acque sopra un mantello, è abbastanza diffuso in vari leggendari di Santi, da S. Giulio sul lago d’Orta, a S. Raimondo da Peñafort, a S. Francesco di Paola, solo per citarne alcuni.

Anche l’incontro con S. Ambrogio è profondamente rivisitato; rispetto alla scarna descrizione dataci dall’agiografo medievale, il Bagliotti – secondo le modalità della prosa secentesca – si profonde in una lunga descrizione che copre varie pagine del suo testo; ecco l’incontro tra i due santi: “Ecco Ambrogio vicino a Novara, e Gaudenzio, che stando fin nel suo Oratorio, sempre però fu collo spirito presente a quanto n’era succeduto […]. Viddelo il Santo Dottore, ed il vederlo, e lo smontar da cavallo fu tutta una cosa istessa, e con empito d’affetto impaziente gli corse in contro, né potendo ben isfogare le pene del giubilo, che ricolmato di ammirazione sentivasi soperchiare nel petto, caricatogli sopra colle braccia spase sul collo, con stretti abbracciamenti espresse la facondia d’amore”. Dopo le reciproche profezie sulla consacrazione episcopale, il Bagliotti pone il miracolo della fioritura invernale, un racconto eziologico dell’offerta dei fiori il 22 gennaio: “Corre fama comune, e si tiene per una costantissima tradizione, che Gaudenzio in quella occasione istessa d’alloggiar coll’ultime finezze di cordiale benevolenza il suo Ambrogio, lo conducesse […] nel suo horticello, e sendo nel cuore della Vernata, in mezzo a’ rigori della più horrida stagione, gli lo facesse vedere tutto fiorito […]. Per testimonio di che si dà quella misteriosa funzione, colla quale i Signori Decurioni della Città, e Padri della Patria compaiono ogn’anno con solenne pompa nel giorno festivo del Santo alli 22 di Gennaio ad offerire alcuni gran rami di fiori, che formati di cera, e disposti con vaghezza mirabile a forma d’un albero, con sopravi alcuni augelletti e colombelle pur di cera si tengono poi appesi per tutto all’anno”.

Il Bagliotti inserisce nella sua voluminosa opera anche una miracolosa guarigione di Teodosio.

L’imperatore, durante il periodo della sua residenza a Milano (una residenza storicamente documentata dall’ottobre del 388 all’aprile del 391), avrebbe – secondo il nostro autore – compiuto una visita a Novara. Qui, colpito dalle febbri, sarebbe stato risanato da un intervento di Gaudenzio. In seguito a questa guarigione il vescovo riesce a farsi promettere da Teodosio l’aiuto per riportare la città al suo primo splendore. Anche qui risalta l’intento del Bagliotti di dare lustro alla città e al suo ceto dirigente, collegando l’episodio ad un più recente fatto. Si cita infatti un libello di supplica dei Decurioni di Novara che il 17 ottobre 1554 scrivevano all’imperatore Carlo V per salvaguardare la città dalla distruzione.

Ancora una volta dunque tout se tient, l’armonia e la collaborazione tra la nobiltà locale, l’autorità imperiale e il positivo rapporto con la Chiesa assicurano il pubblico benessere.

Don Paolo Milani, direttore dell’Archivio diocesano

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