L’eco della scomparsa di Ettore Mo, lo scorso 9 ottobre, è rimbalzato da Arona in tutta la nazione attraverso i media. Era nato a Borgomanero il 1° aprile del 1932. La famiglia aveva abitato a Castelletto Ticino, lì aveva frequentato le elementari.
Poi ha abitato a Meina e infine ad Arona. Però la sua casa era il mondo, non aveva la patente di guida, ma aveva girato il pianeta infatti è ritenuto il più grande inviato di guerra, non solo nazionale. Era il maggior esperto di Afghanistan, ma ha seguito eventi bellici in Arabia, Iraq, Siria, Uganda, Sudan e via via.
Il 31 luglio del 1995, dopo aver intervistato Massud, il Leone del Panshir, è rimasto vittima di un agguato dove venne ucciso il giornalista afghano Mits Wait che lo aveva accompagnato nell’intervista.
«Ho pensato uccideranno pure me» diceva. Invece si evitò un incidente internazionale che avrebbe avuto una grande ripercussione, ed ebbe salva la vita. In Arabia, nella Guerra del Golfo, rimase vittima di un incidente stradale, dopo il quale si riprese. Affermava: «Egisto Corradi diceva che il giornalismo si fa consumando la suola delle scarpe» ed Ettore Mo ha seguito le sue tracce. Raccontava volentieri quell’intervista fatta a madre Teresa di Calcutta.
«Era prassi che chi si avvicinava al convento difficilmente veniva accolto, men che meno i giornalisti. Ci provai. Mi accolse la superiora, pensavo fosse fatta. Invece mi disse che dovevo per una settimana lavare pentole, piatti e i pavimenti della cucina. Altri si sono arresi. Io ho compiuto sino in fondo quanto mi fu imposto. E dopo una settimana suor Maria Teresa mi ricevette. Un colloquio di oltre tre ore. Il giorno dopo il Corriere pubblicò due pagine e ricevetti i complimenti del direttore».
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