Iniziano il 22 gennaio le visite “ad limina apostolorum” dei Vescovi italiani. Si tratta di una tradizione antichissima che vede i Vescovi di tutto il mondo recarsi ogni cinque anni in Vaticano per fare il punto sulla fede e sulla religiosità nel proprio Paese. Le visite servono, altresì, al Papa per avere informazioni sulle singole diocesi, sui problemi, le iniziative, le difficoltà e l’evangelizzazione.
Nei prossimi mesi quindi i Vescovi delle 16 Regioni ecclesiastiche italiane saranno impegnati, in base alla suddivisione del territorio ecclesiastico, nel loro “pellegrinaggio” presso la Santa Sede. Primi ad essere ricevuti saranno i vescovi del Piemonte e della Valle d’Aosta, dal 22 al 27 gennaio. Il vescovo Franco Giulio Brambilla raggiungerà la delegazione, concluse le celebrazioni per la festa patronale di san Gaudenzio. L’ultima visita “ad limina” della Conferenza Episcopale piemontese è avvenuta nel maggio del 2013.
Mons. Franco Lovignana, Vescovo di Aosta e presidente della Cep, può tratteggiare i contorni delle Chiese locali di Piemonte e Valle d’Aosta che presenterete al Papa, originario proprio di queste terre?
«In termini generali mi sembra di poter dire che possiamo descrivere i contorni delle nostre diocesi in chiaro-scuro. Da una parte registriamo una certa ‘stanchezza’ delle comunità parrocchiali e religiose e la fatica pastorale e organizzativa delle diocesi a causa della riduzione numerica non soltanto del clero ma anche e soprattutto dei fedeli. Dall’altra parte avvertiamo segnali di vitalità a partire dalla presenza, certamente ridotta, ma vivace dei giovani (ne è segno la grande partecipazione alla GMG di Lisbona), il fermento legato all’assunzione di responsabilità da parte dei laici attraverso una più diffusa ministerialità ecclesiale che si va progettando e costruendo, il dinamismo nell’evangelizzazione e nella formazione di alcune aggregazioni laicali, la ripresa di alcune comunità religiose, una presenza significativa del volontariato di ispirazione cristiana sia nelle realtà legate alla Chiesa sia in quelle laiche».
Quali sentimenti attese, fatiche e speranze dei piemontesi e valdostani porterete all’incontro con Francesco?
«Non credo siano molto diverse da quelle degli altri uomini e donne del nostro tempo e ruotano certamente attorno al tema della pace. In questo senso possiamo dire al Papa quanto sia apprezzata la sua parola e la sua opera per tentare di comporre i tanti conflitti che insanguinano la terra e infliggono sofferenze indicibili agli innocenti. Le fatiche che rappresenteremo al Papa sono le fatiche di Chiese locali che vivono in un contesto di forte indifferenza e spesso anche di rifiuto della prospettiva cristiana della vita, della famiglia, della società. Sono le fatiche di Chiese locali che non si sono ancora sufficientemente attrezzate a stare dentro a questa situazione in maniera creativa e propositiva e che quindi rischiano sempre o di rifugiarsi nel ricordo dei “bei tempi andati” della cristianità o di adattarsi al momento presente piegandosi acriticamente alla cultura dominante. E poi le fatiche che vive la società civile. Soltanto per toccare qualche tema: la crisi del settore produttivo, industriale in particolare, la situazione di quanti non hanno lavoro e di quanti vivono ai margini della società».
Ci sono ambiti che più preoccupano i Vescovi piemontesi?
«Oltre alle questioni sociali appena evocate, credo che per il futuro delle nostre Chiese locali siamo preoccupati dal problema delle vocazioni, che non riguarda solo il ministero ordinato, ma anche le vocazioni alla vita consacrata e al matrimonio cristiano. Siamo anche preoccupati di poter dare sufficiente formazione ai fedeli, intendendo per formazione non tanto e non solo la trasmissione di contenuti e di competenze, ma soprattutto la maturazione complessiva nell’esperienza di fede che fa di un cristiano un discepolo di Gesù a tutto tondo».
C’è una peculiarità di questa parte d’Italia nel vivere la fede cristiana?
«C’è indubbiamente un tratto di sobrietà e di praticità che caratterizza la vita cristiana delle nostre comunità. E questo rappresenta anche un rischio, quello di presentare e vivere il cristianesimo come un ‘fare’ e non come una relazione con la persona del Signore. In questo senso credo che il percorso sinodale con la sua metodologia (ascolto e conversazione spirituale) abbia offerto e stia offrendo alle nostre comunità una grande aiuto».
Che cosa vi aspettate come frutto della visita ad Limina?
«Credo che il frutto più grande sia quello di rinsaldare il legame di comunione con la Chiesa universale attraverso la persona del successore di Pietro e dei suoi collaboratori, alla ricerca di una parola di luce e di incoraggiamento».
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