La veglia in cattedrale, il rosario nelle parrocchie, il ricordo durante le messe del Lunedì dell’Angelo, quando la notizia – inattesa nonostante la lunga malattia – era appena arrivata. Il dolore della perdita ha fatto subito spazio alla preghiera che anima la speranza nei gesti che stanno segnando il ricordo di Jorge Mario Bergoglio, il Papa venuto dalla fine del mondo, scomparso lo scorso 21 aprile.
«È morto nel cuore della Pasqua – dice il vescovo novarese Filippo Ciampanelli, sottosegretario del dicastero vaticano per le Chiese Orientali -. Le sue ultime parole in pubblico sono un segno di Misericordia e perdono».
Parole che segnano il pontificato di «un profeta del nostro tempo», come lo ricorda Mariella Enoc, già presidente del Bambin Gesù che lo ha conosciuto da vicino. Ma «il suo vero lascito sono l’eloquenza dei suoi gesti», spiega il vescovo Franco Giulio. Come quando in quella sera, da solo in piazza San Pietro, ha benedetto il mondo colpito dalla pandemia.
O come durante i tanti bagni di folla, a Roma e nei suoi viaggi, quando aveva «uno sguardo capace di distinguere ogni volto come unico», dicono le monache di San Giulio.
In programma c’era un’altra occasione di festa e di incontro tra la gente: con i ragazzi del Giubileo degli adolescenti, in questi giorni a Roma. Dalla diocesi sono 800. Dovevano incontrarlo per fare festa con lui per la canonizzazione di Carlo Acutis, un santo giovane, fortemente amato da Francesco. Saranno nella città eterna per vivere l’Anno Santo e sperimentare quella “Gioia del Vangelo” che è il titolo della sua prima lettera apostolica e che Francesco, per tutto il pontificato, ha saputo testimoniare.
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