Il quadro politico internazionale – europeo e italiano – ha subito una fortissima (e imprevedibile) accelerazione dopo l’incontro di Zelensky e del tandem Trump-Vance alla Casa Bianca.
Sia Zelensky che Trump non nascono politici. La loro notorietà nasce sugli schermi tv: Donald Trump in un popolare contest e Volodymyr Zelensky in una fiction dove (quasi con preveggenza) interpretava il ruolo del presidente dell’Ucraina. Dire chi ha vinto o ha perso, più che argomento di analisi politica, è questione di professori di tecnica della comunicazione.
Per Trump e il suo Vice Vance è stata l’occasione di precisare meglio e senza mezzi termini che la politica pro-Ucraina (se non definitivamente cancellata) è cambiata nella sostanza. A Trump interessa lo sfruttamento dei giacimenti delle cosiddette “terre rare” ucraine, il che rappresenterebbe un deterrente formidabile per contrastare Vladimir Putin, il quale non oserebbe attaccare personale e imprese statunitensi.
Quanto a Zelensky, il presidente, prima ancora di partire da Kiev, aveva già deciso di accettare il diktat di Trump per non perdere l’appoggio del potente alleato. L’incontro (con scontro) alla Casa Bianca, ha rappresentato l’occasione per coagulare, in casa, un consenso che stava sgretolandosi e per ricompattare l’Unione Europea più il Regno Unito del Premier Stramer. Il quale, a sua volta, non ha perso l’occasione per riavvicinarsi alle istituzioni di Bruxelles dalle quali – con la Brexit – se ne era andato sbattendo la porta.
I primi effetti dello scontro politico Usa-Ucraina sono stati: la sospensione di una parte importante degli aiuti militari che Biden, prima di passare le consegne al nuovo inquilino della Casa Bianca, aveva stanziato per Kiev e la decisione della Commissione Europea di varare un colossale piano di sostegno finanziario al riarmo dei Paesi dell’Unione. Si tratta di un investimento di 800 miliardi di euro in 5 anni in modo che ogni Paese possa destinare almeno il 3% del Pil per costruire un esercito dell’Unione.
La cifra è immensa e, a tutta prima, incredibile. Un paese come l’Italia che tira la cinghia per sanità, istruzione, trasporti, pensioni e cuneo fiscale dovrebbe stanziare una trentina di miliardi per cannoni e carrarmati.
Per la Premier Meloni, il “Piano” è accettabile perché le spese militari non verranno computate nel tetto deficit Pil del patto di stabilità. La Commissione (che ha appena approvato una serie di regole per i bilanci nazionali) già si è dichiarata disposta e rivedere la normativa su quel punto specifico.
Ora però la Meloni chiede anche di poter accedere a finanziamenti europei a fondi perduto – un Recovery europeo per la difesa – perché, in ogni caso, quella cifra, per le finanze pubbliche italiane, è sempre troppo.
Salvini sì è espresso negativamente e in modo molto duro il che rappresenta un problema oggettivo per il Governo. Finora, la Lega – pur brontolando – si è adeguata in sede parlamentare ma, adesso, le verrà difficile fare finta di niente. Certo, non mancano divisioni a sinistra. Conte e i 5 Stelle rifiutano per principio il riarmo in queste proporzioni. Il Pd della Schlein non vuole il finanziamento europeo dei singoli arsenali dei 27 eserciti nazionali ma chiede che l’investimento riguardi un abbozzo di esercito europeo.
Intanto la guerra continua , in modo anche più duro, in attesa di un “cessate il fuoco” per una tregua che, al momento, appare persino troppo lontana. L’esercito russo avanza e gli ucraini boccheggiano.

Pier Luigi Tolardo