Giovedì 23 gennaio, in santuario, è stato ricordato padre Mario Airoldi che ci ha lasciati esattamente il 23 gennaio 2024. La serata è iniziata con un momento di adorazione silenziosa, durante la quale a ogni presente è stata data anche la possibilità di scrivere un pensiero, un ricordo, una preghiera su padre Mario, che verranno poi raccolti in un piccolo libretto. Al termine, la messa presieduta da don Franco Giudice, vicario generale del clero, e concelebrata da padre Fiorenzo Fornara Erbetta, rettore del santuario, don Matteo Borroni, don Piero Cerutti, don Ernesto Bozzini, don Ezio Caretti, don Claudio Vezzani e dal diacono Fabio Zanetti Chini. Ad animarla, con i canti preferiti da padre Mario, il gruppo musicale Work in Progress.
Nell’omelia don Franco ha tracciato un profilo di padre Mario Airoldi, che definisce “un uomo di Dio”, e del quale sottolinea tre caratteristiche: l’umanità, la spiritualità, la mitezza. “L’umanità padre Mario l’ha vissuta prima di tutto nell’ascoltare. Ascoltare vuol dire saper fare spazio dentro di sé agli altri” e don Franco ricorda che a volte tirava fuori la sua agendina nera, piccola ma strapiena di nomi e numeri di telefono di gente che lo cercava proprio per questo. “Un’umanità vissuta anche nella simpatia, che traspariva tante volte nelle battute, nei raccontini, nel mettersi a cantare, a volte anche da solo, perché a lui piaceva. In questo modo rivelava la sua serenità. Un’umanità che si rivelava anche nella carità”.
Don Giudice racconta che, quando lui era un ragazzino di 14-15 anni ed era in Seminario, vedeva padre Mario, che era il confessore straordinario, arrivare “di corsa, una sera sì e una no, per poter incontrare i ragazzi, per chiacchierare con loro, per confessarli”, e a volte si avvertiva la sua stanchezza. In quel periodo padre Mario era “a san Giuseppe, che a quel tempo aveva la Bellaria, un quartiere fatto di casolari fatiscenti, decadenti, dove vivevano tanti poveri” e invitava anche loro, giovani seminaristi, ad andare in quel quartiere, qualche sabato pomeriggio, da qualche famiglia che aveva bisogno un po’ di doposcuola per i figli e don Franco sottolinea che “lì vedevi proprio la concretezza dei problemi”. Poi, per padre Mario c’è stata la “grande esperienza della Comunità di Ognissanti, un’esperienza difficile, da cui padre Mario ne è uscito anche ferito, prima di tutto nel suo spirito e ha avuto bisogno poi di ricaricarsi” ma “in quel modo ha capito e ha fatto capire che per far del bene la generosità non basta”, occorre anche la formazione. “La sua però era una carità vissuta in una maniera completa, integrale, perché in ogni persona vedeva l’aspetto esteriore, ma vedeva anche lo spirito” e tutti abbiamo bisogno di essere aiutati sotto i due aspetti, quello della corporeità e quello della spiritualità.
La seconda caratteristica che viene messa in luce di padre Mario è la sua spiritualità: “era un uomo di preghiera, pregava tanto”, alla Badia si alzava presto e incominciava “a pregare, qualche volta cantava, magari anche da solo, il suo breviario con la gioia di elevare al Signore la sua preghiera” e qualche volta raccontava, ricorda don Giudice, che, quando si svegliava di notte e rimaneva lì in attesa di riprendere sonno, sfruttava anche quel tempo per pregare. Oltre a essere un uomo di preghiera, padre Mario era però anche un uomo di studio della spiritualità. Nelle sue riflessioni per i gruppi parrocchiali “proponeva tante citazioni, episodi, storie di vita vissuta dai santi”, tanto che alla fine uno andava a casa con mezzo quadernetto pieno di scritte, di citazioni su cui aveva modo poi di ritornare e riflettere. Aveva, dice don Franco, i suoi autori preferiti, ed erano tanti, ma “negli anni Settanta citava anche nomi che, a quel tempo nessuno conosceva e che poi, nel tempo, sono diventati noti”, come Charles de Foucauld e Madeleine Delbrêl.
L’ultima caratteristica di padre Mario che don Franco sottolinea è quella della mitezza, che si vedeva nella sua capacità di sorprendersi, nel suo gustare le parole e le confidenze degli altri. “Mitezza voleva dire anche letizia, che non è la felicità e neanche la gioia, ma qualche cosa in più. È la capacità di essere gioioso nel cuore anche attraverso le prove, anche attraverso la sofferenza”. “Mitezza vuol dire anche una capacità di povertà vissuta personalmente e vissuta per gli altri” e quella di padre Mario era una povertà “sine modo”, senza moderazioni. E poi la mitezza anche negli ultimi momenti, in cui lui accoglieva tutti con una gioia incredibile e anche la morte, che a tutti fa paura, lui l’ha vissuta come il momento più delicato e più bello perché la vedeva come “l’abbraccio del Signore dopo il cammino di questa vita”.
Facendo poi riferimento alle beatitudini, don Franco sottolinea che “padre Mario è stato povero di spirito, quindi ricco di Dio dentro di sé; che forse davvero è stato l’uomo delle beatitudini” perché “anche se noi siamo chiamati a guardare al Signore Gesù come punto di riferimento, però tante altre persone, a partire dai santi, sono per noi un modo per poter comprendere che, con la grazia di Dio, se ce la mettiamo tutta potremo giungere alla vita eterna”.
L’articolo, assieme ad altre notizie dal territorio della Diocesi di Novara, si può trovare sul nostro settimanale in edicola a partire da venerdì 7 febbraio. Il settimanale si può leggere abbonandosi o acquistando il numero che interessa cliccando direttamente sopra a qui.