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Dai tempi di Berlusconi, la riforma della magistratura è nei programmi del centrodestra. Si tratta della separazione delle carriere fra magistratura inquirente – il Pubblico Ministero – e quella giudicante, stabilendo due forme di accesso per concorso e due progressioni di carriera differenti e incomunicabili. Il Consiglio Superiore della Magistratura di oggi raddoppierebbe in modo da formare due organismi di autogoverno.

La recente riforma del ministro Marta Cartabia consente al magistrato la possibilità di passare dal ruolo giudicante a quello inquirente (o viceversa) solo una volta e trasferendosi in altro distretto. Per il centro destra non è sufficiente: solo la separazione assoluta consente di attuare il principio costituzionale del “giusto processo” dove pubblica accusa e difesa si muovono in uno stato di reale parità (senza che il Pubblico Ministero sia un collega del giudice). Per l’Associazione Nazionale Magistrati dove, al momento, prevale la corrente di orientamento conservatore, la riforma é sbagliata. Secondo questa tesi, è preferibile che il Pubblico Ministero conservi la cosiddetta “cultura della giurisdizione” cioè ricerchi l’obiettività e non l’accanimento contro l’imputato. Separando le carriere, si rischia di porre le basi per una subordinazione dell’accusa al potere politico dell’esecutivo.

Partito Democratico e 5 Stelle hanno sempre fatto propria la posizione della maggioranza dei magistrati. Anche scontando le dovute eccezioni: Antonio Di Pietro, per esempio, ex magistrato, deputato e ministro con il centro sinistra, grande avversario di Berlusconi, si è dichiarato favorevole alla riforma.

Al di là delle contrapposizioni che potrebbero essere definite politiche, resta che, a giudizio di molti osservatori, questa riforma non risolverebbe i nodi critici della giustizia. La legislazione (soprattutto per iniziativa del centrodestra) aumenta di continuo il numero dei reati da reprimere con processi. Molte sedi giudiziarie sono paralizzate per carenze di organico. E gli iter processuali camminano alla velocità del secolo scorso nonostante il tentativo di utilizzare i sistemi informatici (senza che, al momento, se ne vedano i risultati). La premier Meloni ripete che “non é ricattabile” cioè non si trova nella posizione di Berlusconi accusato di mettere mano alla giustizia per sottrarsi alle numerose indagini che lo coinvolgevano. Ma è evidente che Meloni e Fdi siano passate da posizioni “giustizialiste” alla polemica a viso aperto con Associazione Magistrati.

L’esempio più evidente sta nel cambio di passo nella vicenda di Daniela Santanché, rinviata a giudizio con imputazioni che riguardano sue passate iniziative imprenditoriali. In passato, l’ombra di un’indagine che sfiorava esponenti del Pd consentiva alla Meloni (allora leader dell’opposizione) di chiederne con forza le dimissioni. Oggi, alla presidente Meloni, un processo non crea problemi di opportunità neanche se riguarda un suo Ministro. Tuttavia, la questione che provoca gli scontri più accesi riguarda Osama Amasri. Si tratta del capo della polizia libica che la Corte Internazionale accusa di gravi violazioni dei diritti umani e contro il quale ha spiccato mandato di cattura. Per questo, è stato arrestato a Torino (dopo aver tifato per la Juventus) detenuto per due giorni e poi rimpatriato con un aereo militare.

Per questo Meloni, il sottosegretario per i servizi segreti Alfredo Mantovano, il Ministro Guardasigilli Carlo Nordio e quello agli Interni Matteo Piantedosi sono stati iscritti nel registro degli indagati. L’iniziativa è dovuta al Procuratore della Repubblica di Roma Francesco Lo Voi in seguito all’esposto dell’avvocato Luigi Li Gotti, sottosegretario alla Giustizia nel governo Prodi, legale di parte civile della famiglia del commissario Calabresi, oltre che di criminali comuni e mafiosi. Entro 90 giorni, il Tribunale dei Ministri dovrà decidere se affidare alle Camere l’autorizzazione al processo o archiviare.

Pier Luigi Tolardo

Pier Luigi Tolardo

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