Dovevano essere giorni di festa, vissuti insieme a centinaia di migliaia di coetanei da tutta Italia e da tutto il mondo, con al centro la canonizzazione di uno di loro, Carlo Acutis, il “primo santo millenial”. Sono stati giorni di incontro, preghiera e lutto per il Pontefice scomparso pochi giorni prima, «ma nei quali il cordoglio per la perdita di Francesco si è animato della gioia e della felicità del vivere questo momento di fede, nell’ultimo saluto a un Papa che ha voluto bene ai giovani». Don Gianluca De Marco, direttore dell’ufficio di pastorale giovanile della diocesi, racconta così le giornate del Giubileo degli Adolescenti, segnato dal funerale di Francesco e che ha visto la partecipazione di oltre 800 ragazzi, dagli 11 ai 15 anni, dalle parrocchie della diocesi di Novara.
Don De Marco, come hanno vissuto i ragazzi questo momento di cordoglio e lutto?
«Quel sabato mattina – racconta – Piazza San Pietro e tutta via della Conciliazione erano affollate di fedeli, molti dei quali erano proprio gli adolescenti venuti a Roma per il Giubileo. Mi ricorderò per sempre il silenzio. Si riusciva a sentire lo scroscio dell’acqua della fontana del Bernini. E poi i volti dei nostri ragazzi, molti dei quali rigati di lacrime mentre seguivano con lo sguardo il feretro che da San Pietro si spostava verso la basilica di Santa Maria Maggiore. Nonostante fosse un momento solenne e magari lontano o differente rispetto a quello che sono abituati a vivere nelle parrocchie, si sono fatti coinvolgere appieno. E anche questo momento è stato utile perché potessero mettersi in gioco e “lavorare” sul loro percorso di fede».
Il Giubileo per loro, così come per tutti i pellegrini, è stato quindi un’occasione per riflettere sulla propria fede, sulla propria vocazione e sul proprio percorso di crescita?
«Il Giubileo è stato il momento centrale di un cammino iniziato da tempo, nel segno dell’Anno Santo. Credo che la parte più importante sia stata proprio questa: la preparazione. Fatta nei gruppi dei nostri oratori e negli incontri diocesani. Abbiamo attraversato la porta santa a San Giovanni in Laterano. È un gesto antico e carico di un significato spirituale, che però poteva essere perso. Ed invece, accompagnato al Sacramento della riconciliazione che abbiamo vissuto nella basilica, è stato il vero centro del nostro pellegrinaggio. Vorrei, allora, ringraziare i sacerdoti, i religiosi e gli animatori laici che ogni giorno si prendono cura dei ragazzi. E che, spesso in mezzo a tante di difficoltà, non smettono di avere a cuore il loro percorso di crescita nella fede e nella vita. Anche nelle nostre “giornate romane”, con le difficoltà di un programma rivoluzionato all’ultimo, hanno saputo dimostrare quanto il loro lavoro sia importante».
“Giornate romane” vissute proprio nelle comunità parrocchiali della diocesi di Roma.
«Vivere la dimensione dell’accoglienza è uno degli aspetti più importanti. E noi lo abbiamo fatto nelle parrocchie di Santa Maria Causa Nostrae Laetitiae; di Santa Rita; di Santa Maria della Fiducia e in quella di San Gaudenzio con il nostro don Gino Bolchini. Abbiamo ricevuto un’ospitalità generosa. Nel segno della festa vissuta con compostezza, che ha alimentato la gioia di incontrarsi e di conoscersi».
La celebrazione per la canonizzazione di Carlo Acutis è stata rinviata. Ma questo santo giovane vi ha accompagnato in qualche modo?
«Sicuramente sì. Il sussidio per il pellegrinaggio giubilare è stata tutto dedicato a lui. Ogni giorno abbiamo pensato ad un aspetto della sua vita che potesse parlare agli adolescenti e per la sera un esercizio di rilettura di quanto vissuto sentito e provato. Direi che Carlo è stato con noi tutti i giorni».
Scelga una parola per definire l’esperienza degli 800 adolescenti a Roma per il Giubileo.
«Ne scelgo tre. Sono quelle che ho proposto nella messa di apertura. Anzitutto “Pietra d’Angolo”. È l’invito a scegliere Gesù come fondamento della propria vita, piuttosto che le “pietre d’inciampo” come il culto dell’immagine e dell’apparire; il successo a tutti costi; la filosofia del “tutto subito” e la moda come unica bussola. Poi un verbo: “si gettò”. È quello che fece Pietro gettandosi in acqua per correre da Gesù che lo aspettava sulla riva. È l’invito a “buttarsi” a non avere paura di mettersi in gioco per il Signore. Ed infine una domanda “Chi sei?”. È la domanda al centro del nostro Giubileo. Nel Vangelo i discepoli non hanno il coraggio di porla al Maestro. Ma noi ce la siamo posta e, varcando quella Porta Santa, abbiamo cercato in lui la risposta».
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