Stare con i giovani, ascoltarli, aiutarli a riconoscere la propria strada. Solo così ci si può prendere cura dei ragazzi. Lo ha spiegato don Claudio Burgio all’incontro diocesano formativo per educatori che si è svolto a Borgomanero sabato 3 febbraio, organizzato dall’Ufficio diocesano per la pastorale giovanile.
A partire dalla sua esperienza di cappellano del carcere minorile “Beccaria” di Milano, il sacerdote ha invitato i presenti – animatori, sacerdoti, catechisti e insegnanti – a riflettere sul ruolo dell’educatore in mezzo ai giovani.
«Un ragazzo che finisce in cella non appartiene a un mondo giovanile diverso. Il disagio che vivono i ragazzi è trasversale, riguarda tutti, anche quelli più insospettabili – ha ricordato don Claudio -. In un carcere, la maggior parte dei ragazzi arriva da famiglie disfunzionali o assenti. Ma i ragazzi fragili ci sono anche negli oratori, al liceo, nei centri che frequentiamo. Un bravo educatore li va a cercare. Se si accorge che qualcosa non va, non fa finta di niente. Dietro a chi non viene più, c’è spesso un problema. Dietro alla spavalderia, c’è un disagio da non sottovalutare».
Gli educatori – in carcere ma anche fuori – fanno i conti con le fragilità psicologiche e sociali. «I ragazzi più problematici sono anche analfabeti emotivi – ha spiegato don Burgio -. Sono giovani per niente empatici, incapaci di percepire il dolore negli altri. Non si accorgono dell’altra persona e di cosa prova: gli altri sono oggetti». È un fatto che «inquieta» gli adulti e che trova le sue radici nel vissuto dei ragazzi.
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