La capitale della Cristianità, un piccolo centro a pochi chilometri da Costantinopoli e il territorio tra la Sesia e il Ticino. E poi il pieno Medioevo e l’epoca tardo antica; il primo Anno Santo, la genesi del Credo cristiano e la Chiesa novarese. È un itinerario attraverso i secoli e lo spazio quello che propone don Paolo Milani – direttore di Musei, Archivio Storico e Biblioteca diocesana – con il suo libro “Roma, Nicea, Novara. Il Giubileo, il Concilio e la nostra terra” edito dalla Stampa Diocesana Novarese, in collaborazione con il comitato diocesano per l’Anno Santo.

Partendo dal primo Giubileo del 1300 e approfondendo il contesto e le ragioni del Concilio del 325, il lettore attraverserà il quarto secolo a Novara: l’epoca della prima evangelizzazione tra Ticino e Sesia, dalla pianura alle Alpi. Tre scatti fotografici a comporre una sola grande immagine fatta di panorami ampi e di dettagli definiti, dove protagonista è l’esperienza cristiana e la nascita della Chiesa novarese, anzitutto come comunità di persone che incontrano il Vangelo, in un viaggio che dalle origini giunge fino a noi.

«L’idea di accostare questi tre nuclei tematici – spiega Milani – può essere rintracciata proprio dalla bolla di indizione del papa “Spes non confundit”, dove non solo Francesco fa riferimento al primo Giubileo indetto da Bonifacio VIII e al XVII centenario del concilio di Nicea che ricorrerà nel 2025, ma invita ad andare alle radici più profonde del nostro credere, in un pellegrinaggio di riconciliazione, animato dalla speranza».

L’approccio del libro, però, non è prettamente spirituale. Anzi, la scelta di fondo esplicita – associata ad uno stile divulgativo – è quella del rigore storico. «In realtà non c’è affatto contraddizione – sottolinea l’autore -. Marc Bloch, nella sua opera “Apologia della storia o Mestiere di storico”, ricorda che “anche il cristianesimo è una religione di storici”. Il Cristianesimo si incarna in una precisa storia, dall’antico Israele ai nostri giorni; non si può dare una fede cristiana avulsa dalla dimensione e dalla prospettiva storica. Potremmo aggiungere che il cristianesimo non solo non può fare a meno della storia, ma nemmeno della geografia. I luoghi svolgono un ruolo decisivo nel cammino di fede, basti ricordare l’importanza dei “luoghi santi”, dei luoghi di pellegrinaggio. I percorsi delle fede non sono solo quelli dell’anima, ma anche quelli del corpo, con la sua fisicità». È in questo intreccio tra tempi e spazi Milani conduce il lettore in questo cammino fra tre città e soprattutto ciò che esse simbolicamente rappresentano. Con protagonista, la diocesi di Novara.

Le chiese scomparse. Intervento di don Paolo Milani alle conferenze Fai
Don Paolo Milani

«Ho voluto proporre – prosegue Milani – un approfondimento sul Novarese attraverso un’introduzione alla conoscenza delle sue vicende, sia dal punto vista religioso sia dal punto di vista sociale, nel IV secolo, il secolo del Concilio, della prima evangelizzazione e della costituzione della diocesi, senza alcuna pretesa di completezza, ma volendo offrire a tutti uno sguardo sintetico e storicamente fondato, che permetta di avvicinarsi, quasi in punta di piedi, a quel mondo, così lontano e per molti versi sconosciuto».

Poi una sottolineatura decisa: «Ogni testo che ci introduce alla storia dovrebbe aiutarci a cogliere che essa, o meglio la sua narrazione, non è un manuale di cronologia (peraltro utile) e dovrebbe anche aiutarci ad evitare il più grande degli errori nel campo storico, errore in cui è molto facile cadere, che è quello dell’anacronismo, in quanto molto frequentemente la continuità dei termini, a volte perduranti per molti secoli, non significa necessariamente una perfetta continuità di contenuti o di visioni».
Eppure un accostamento tra le vicende di quel periodo remoto – a cavallo tra la fine dell’antichità classica e l’inizio del Medioevo – spesso poco presente anche nei corsi di studi scolastici e l’attualità è possibile intercettarlo. Lo fa don Gianmario Lanfranchini, delegato diocesano per il Giubileo, nella sua prefazione.

«Il vivere “un cambiamento d’epoca” – scrive – è il dato che più ci avvicina alle donne e agli uomini del IV secolo. Eppure non si può non nascondere un altro elemento, l’essere – come cristiani – minoranza: allora di fatto, in una società, ancora per larga parte segnata dai culti pagani; oggi da un punto di vista culturale, in una realtà sempre più frammentata e “fluida”. Il nodo, però, non è discutere sulle dimensioni di questa condizione di minoranza, ma renderla feconda: al tramonto del mondo antico i cristiani seppero esserlo appieno, divenendo davvero “sale della terra e luce del mondo” lasciandosi guidare dal Vangelo che mutava i cuori e che portava frutti nel modo di essere comunità e di costruire la società. Oggi sapremo essere una “minoranza convinta” con lo stesso coraggio e vitalità, o ci rassegneremo solo ad essere “minoranza triste”, e forse anche ad essere residuo di un’epoca che è cambiata?».

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