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Più deluso che indispettito. Vent’anni di passione per la Lega rappresentano un bagaglio di memoria che difficilmente passa con noncuranza. Uno si aspetta di trovare un Paolo Tiramani che – espulso dal partito – abbia la bava alla bocca di risentimento. Invece, parla di sé con il distacco che si userebbe per una terza persona.

«A oggi – premette – non ho ricevuto comunicazioni che mi riguardino. Certo – aggiunge – non ho bisogno di pezzi di carta. Che abbiano preso delle decisioni che mi riguardino, ci credo. I giornali sono sempre abbastanza informati».

La decisione era nell’aria e, dunque, attesa «anche se mi sarei augurato che lasciassero perdere». In fondo, non rinnovando la tessera d’iscrizione, si era messo volontariamente in disparte.
La verità – sua opinione – è che serve un “segnale forte” per governare il congresso provinciale. I vertici vorrebbero sostenere la candidatura di Daniele Baglione (ex sindaco di Gattinara) che evidentemente incontra più ostacoli del previsto. L’azione di forza dovrebbe dimostrare chi impugna il bastone del comando. “Ma – riflette – sono tattiche suicide.Le soluzioni che derivano da forzature eccessive pro-
ducono effetti controproducenti».

All’origine sta il dissidio con Riccardo Molinari che si è trasformato in aperta ostilità. Una serie di passaggi contrassegnati dal pissi-pissi bau-bau hanno trasformato il dibattito politico in un’arena di pettegolezzi. «E per ogni chiacchiera – si rammarica Tiramani- finivo per essere il terminale d’accusa».

Dice di aver tentato di chiarirsi con gli interessati. A ogni colloquio l’assicurazione che «ci si era capiti» ma, subito dopo, riprendeva il circo delle maldicenze. Un tour di «sorrisi davanti e pugnalate alla schiena». Riflette che il fatto di essere coetanei e di essere stati protagonisti di una carriera in parallelo ha aumentato il senso della gelosia «anche se lui è più bravo di me ma, evidentemente, si lascia circondare da persone con un livello di capacità inferiori alle mie che già sono assai modeste».

L’ultimo capitolo alla vigilia della campagna elettorale. «E riguardava – ricostruisce – la mia intenzione di passare a Fratelli d’Italia. Ho smentito e ho chiesto a Molinari di firmare congiuntamente un comunica-
to con l’assicurazione che ero della Lega e restavo della Lega. La risposta è stata: ‘mi fido di te e di quello che dici’. Con il risultato che si è visto».

A dimostrazione che non c’era l’intenzione di traslocare in un’altra famiglia politica «non andrò da nessuna parte”. E rinforza la sua decisione: “cosa farei in un partito che non ‘sento’
mio?». Però non significa che la febbre della politica non continui a bruciare. Guardando oltre le coalizioni classiche, vede sindaco e amministratori che esprimono istanze civiche. Quella sarebbe la “rete” cui fare riferimento. Ai paesi e alle comunità servono “voci” autorevoli che si richiamino alla radice auten tica dei loro territori. E – a giudizio di Tiramani – sono anche quelle più trascurate.

Vercelli, per esempio, si avvale di un amministratore di buon senso come Andrea Corsaro «ma stanno già trovando il modo per tagliarlo fuori». Avendo già perso Alessandria – ironizza – cercano di perdere anche Vercelli. «Per questo – dice – intendo sostenere Corsaro magari con una lista civica di supporto».

Intanto qualche scricchiolìo, frutto dell’effetto domino, è già percepibile. Francesca Ricca, sua moglie, consigliere comunale a Novara, lascia il gruppo della Lega in Municipio. Ma il futuro? Si dice che il tempo è galantuomo.

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