Nello scorso fine settimana si è tenuta nella Basilica di San Paolo fuori le mura a Roma la prima assemblea sinodale delle Chiese in Italia, con circa mille rappresentanti di tutte le diocesi italiane. Per Novara era presente una delegazione composta da Romina Panigoni e don Brunello Floriani, referenti diocesani per il sinodo, con Valeria Artuso e Alessandro Sacchetti, membri del consiglio pastorale diocesano.
Il lavoro in diocesi
Proprio per preparare l’incontro il consiglio pastorale si era confrontato sul documento che ha guidato i lavori, articolato su tre forti nuclei tematici: il rinnovamento della mentalità ecclesiale e delle prassi pastorali; la formazione alla fede e alla vita; la corresponsabilità. Il tutto nell’orizzonte missionario, nello stile della prossimità. «A febbraio – spiega don Floriani – torneremo a discutere insieme sullo “Strumento di lavoro” prodotto a seguito dell’assemblea romana, in vista del prossimo incontro nazionale che si terrà, sempre a Roma, tra marzo e aprile 2025». Si tratta di passaggi che costituiscono l’ultima fase del cammino sinodale italiano che negli ultimi anni si è snodato in parallelo a quello della Chiesa universale sui temi della partecipazione e della sinodalità.
Zuppi: «Coltivare il “culto del noi”»
«La Chiesa italiana, come ci ha chiesto Papa Francesco, è chiamata ad essere madre tenera nella nostra attenzione e vicinanza ad un mondo di individualisti, dove conta solo ciò che faccio io e il ‘noi’ è relativo, cangiante, virtuale», ha detto a chiusura dei lavori dell’assemblea di Roma il card. Matteo Zuppi, presidente della Cei, riassumendo lo stile e i contenuti del lavoro sin qui fatto. «Dobbiamo avere – l’appello del cardinale – il culto dell’unità, del ‘noi’, il desiderio di costruire comunità in una società così individualista. Se non siamo famiglia, è difficile che riusciamo ad aiutare le famiglie».
Castellucci: «Scrutare nelle ferite e nella Speranza»
A commentare il percorso sin qui intrapreso anche il vescovo Erio Castellucci, vicepresidente della Cei e presidente del Comitato nazionale del Cammino Sinodale. «Il Cammino di questi tre anni – ha proseguito – ci ha abituato a scrutare le pieghe della nostra storia, cogliendo con umiltà sia le ferite dentro e fuori la Chiesa, sia i raggi di speranza e di vita, che abitano il quotidiano delle case e delle strade e che spesso restano sepolti sotto la coltre delle cattive notizie».
«Continueremo a camminare»
Uno spirito che emerge anche dalla lettera che l’assemblea ha voluto inviare al Papa a chiusura dei lavori. «Ci lasceremo ancora una volta guidare dalla triplice consegna che Lei, Padre Santo, ci ha affidato: ‘Continuare a camminare, fare Chiesa insieme ed essere una Chiesa aperta’», si legge nel testo. «La nostra gratitudine diventa adesso impegno nel tradurre in decisioni e scelte concrete le riflessioni raccolte nelle fasi di ascolto e discernimento di questi anni di Cammino sinodale e dai lavori di queste giornate», assicurano i partecipanti, che sottolineano con decisione come sia «il tempo di realizzare quella missione nello stile della prossimità, che aveva animato San Paolo. Il libro degli Atti racconta che i primi passi della sua missione sono avvenuti con altri apostoli e discepoli come Barnaba e Giovanni, prendendo letteralmente il largo per fondare e sostenere le comunità cristiane primitive. Sentiamo anche noi questa vocazione ad una missione condotta non in solitaria, ma insieme, per portare con coraggio e speranza il Vangelo, anzitutto attraverso la testimonianza dell’amore fraterno».
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