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Il 2023 resta appeso all'incertezza. Serve capacità progettuale.
Eliana Baici, Professoressa Ordinaria di Politica Economica dell’Università del Piemonte Orientale

La crisi del 2008, che non siamo stati in grado di prevedere, nonostante le numerose avvisaglie, rende estremamente prudenti tutte le fonti a cui normalmente ci appelliamo per ottenere un autorevole sguardo sul futuro. Peraltro, non sarà superfluo ricordare che quella crisi aveva una causa di natura economica, la cattiva qualità dei mutui, laddove la situazione attuale ha preso avvio da due eventi effettivamente del tutto imprevedibili, per lo meno il primo di essi, la pandemia, e la guerra in Ucraina. Il fattore che pertanto condiziona la capacità di elaborare un affidabile quadro previsivo è in primis l’incertezza, a cui si aggiungono le pressioni inflazionistiche e le politiche monetarie restrittive, adottate per frenare la crescita dei prezzi. Nella nostra riflessione non possiamo prescindere da questi tre elementi, anche laddove il nostro interesse fosse centrato principalmente sull’economia locale.

Nel corso della sopracitata crisi del 2008 abbiamo infatti sperimentato quanto forti siano le interconnessioni tra i sistemi economici a livello internazionale e quanto estese siano le ripercussioni anche a livello territoriale. Per cercare di anticipare l’evoluzione dell’economia novarese è quindi utile partire dalle ultime previsioni, elaborate dalla Banca d’Italia e coordinate a livello europeo, secondo cui il 2023 è condizionato negativamente dal rallentamento, che il Prodotto Interno Lordo (PIL) ha mostrato già nella parte finale del 2022, tanto che i primi graduali segnali di ripresa sono intravisti a partire dalla prossima primavera, ma diventeranno significativi solo nel 2024 (1,2%). Dopo i ritmi decisamente positivi con cui si è evoluto il PIL italiano nel 2021 (6,7%) e 2022 (3,8%), il 2023 ci riporterebbe ai tassi di crescita, estremamente modesti, che purtroppo hanno caratterizzato tutto questo millennio, e che nello specifico del 2023 vengono quantificati in un modesto + 0,4%.

L’economia locale difficilmente potrà mostrare performance molto più lusinghiere della media nazionale, perché la manifattura, trainante nella nostra area, vede la presenza di settori energivori quali la meccanica e l’alimentare. In generale le imprese dovranno realizzare un efficientamento energetico, che tuttavia richiede tempo e risorse e che è comunque indispensabile non solo per contenere i costi di produzione, ma soprattutto per favorire la transizione verso un’economia più rispettosa dell’ambiente e più attenta al futuro delle nuove generazioni. Anche il rallentamento della domanda estera (dal + 6% del 2022 al 2% del 2023 in media per l’Italia) potrebbe frenare lo sviluppo del manifatturiero del nostro territorio, molto orientato alle esportazioni, perché molto competitivo sui mercati internazionali.

La Banca d’Italia prevede un ridimensionamento – rispetto al 2022 – anche per il tasso di crescita delle altre componenti della domanda (consumi delle famiglie e soprattutto investimenti). Il ridotto potere d’acquisto dei salari, causato dall’inflazione ma anche dalla ultraventennale bassa crescita delle retribuzioni monetarie è a sua volta una conseguenza della scarsa dinamica della produttività. In termini reali, tra il 1990 e il 2020, la retribuzione media in Italia è diminuita del 2,9%, mentre in Germania è cresciuta del 33,7%, in Francia del 31,1% e in Spagna del 6,2% (Rapporto INAPP 2022). Il clima di incertezza e l’aumento del costo del finanziamento spingono le imprese a posticipare le decisioni di investimento; e sempre l’aumento dei tassi di interesse inciderà negativamente sugli investimenti in costruzioni, che rallenteranno anche per l’esaurirsi degli effetti degli incentivi alla riqualificazione del patrimonio edilizio.

Un ulteriore limite al potenziale produttivo del Paese è posto dall’invecchiamento della popolazione (dopo il Giappone siamo il paese più vecchio al mondo), segnalato da un rapporto tra over 64 e popolazione attiva (15-64 anni) pari oggi al 36% (il più alto d’Europa), ma destinato a crescere, tanto che l’Istat prevede possa arrivare al 61% nel 2060. In questa logica è indispensabile dotare i giovani delle competenze che li rendano adeguati a farsi carico dell’impegno che li attende. La strategia che suggerisco consiste nel rafforzamento di tutta la filiera lunga dell’istruzione e formazione professionale (IeFP) fino ai più alti livelli degli ITS Academy e degli stessi «Dottorati industriali». Ma affinché questo modello sia davvero efficace ed attrattivo è indispensabile un più ampio coinvolgimento del sistema delle imprese, per realizzare l’acquisizione delle nuove competenze (reskilling) e il miglioramento di quelle già presenti nel mercato del lavoro (upskilling).

Significative a questo proposito sono due iniziative realizzate nel nostro territorio: l’indirizzo “Meccatronica con curvatura in Automazione e Robotica” attivato dall’OMAR, nel settembre 2021, a Oleggio e, a Novara, il corso per formare il «prototipista», una delle figure professionali più ricercate dalle aziende di moda in Italia. Entrambi i progetti formativi sono stati sviluppati grazie alla collaborazione – progettuale ed al sostegno economico – delle aziende del territorio, che necessitano di quei profili.

Le aspettative di molti sono indirizzate agli effetti degli interventi delineati nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che tuttavia non riusciranno a concretizzarsi nel 2023, ma solo negli anni successivi, sempre che a tutti i livelli, anche a quello locale, si sappia esprime capacità progettuale e si indirizzino le risorse verso gli investimenti che contribuiscano alla soluzione, almeno di alcuni, dei nostri problemi strutturali.

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