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Tra i Codici medievali conservati presso l’Archivio Capitolare di Santa Maria, ve ne sono alcuni che raccolgono le omelie (“sermones” nel testo) di alcuni Padri della Chiesa, attorno al mistero della nascita di Cristo. Questi discorsi “de nativitate Domini” si inseriscono nel cammino che si viveva nella liturgia e nella preghiera nella Cattedrale novarese nei secoli centrali del medioevo. Quali sono i Padri preferiti nel medioevo novarese? Secondo i manoscritti conservatesi i nomi più ricorrenti sono Agostino, Ambrogio, Gregorio, Leone, Fulgenzio da Ruspe, Beda il venerabile, Massimo di Torino.

Di Leone Magno (papa dal 440 al 461) vi è in archivio addirittura un intero volume che raccoglie le sue omelie per tutto l’anno liturgico, comprendente anche il famoso “Tomus ad Flavianum”, la lunga lettera scritta dal vescovo di Roma a quello di Costantinopoli su Eutiche e la problematica delle due nature di Cristo. Così come del grande Gregorio (papa dal 590 al 604) è presente in archivio una copia del “Liber pastoralis”, un cardine della letteratura ecclesiale per tutto il medioevo ed oltre.

Agostino e Ambrogio sono certamente due capisaldi di tutta la riflessione della Chiesa in occidente fino ai nostri giorni. Splendidi i discorsi del vescovo d’Ippona, che unisce la profonda sapienza del santo all’abilità del grande esperto di retorica latina. Citiamo solo un passaggio fra i tanti, sull’incarnazione del Verbo: “ineffabilmente sapiente, sapientemente bambino; riempie il mondo e giace in una mangiatoia; governa le stelle e si attacca ad un seno di donna” (sermo 187).

Meno noti oggi al grande pubblico sono gli altri tre autori; in primo luogo, Fulgenzio, nato verso il 462 nell’Africa romana sotto il dominio dei Vandali persecutori dei cattolici (e per questo visse anche dei periodi di esilio), diventerà vescovo di Ruspe, una città della Tunisia Bizacena, dove morirà (secondo alcune fonti nel 527, secondo altre nel 532 o 533). Si formò sugli scritti di Agostino e di lui ci sono pervenuti diversi trattati, tra cui uno sull’Incarnazione del Figlio di Dio. Fonte importante per la sua vita è la biografia scritta dal diacono cartaginese Ferrando, che fu suo discepolo e compagno di esilio in Sardegna. Una citazione di Fulgenzio appare anche nel Concilio Vaticano II, nel decreto “Ad gentes”, sull’attività missionaria della Chiesa, dove si dice: “non fu redento quel che da Cristo non fu assunto”, una riflessione coltivata proprio nell’ambito della tematica dell’incarnazione.

Beda il venerabile, oggi poco praticato se non dagli storici, era considerato il più grande erudito dell’alto medioevo. Monaco benedettino inglese, vissuto nella Northumbria tra il 672 e il 735, ha compiuto studi nell’ambito storico, biblico, dottrinale; fondamentali le sue ricerche e il suo computo per il calcolo dei calendari. Il suo capolavoro fu la “Historia ecclesiastica gentis anglorum”.

Massimo di Torino, di cui si hanno poche notizie storiche certe, considerato il fondatore della diocesi subalpina, visse tra la fine del IV e gli inizi del V secolo (contemporaneo di Gaudenzio a Novara), forse da considerarsi discepolo di Ambrogio; di lui ci restano numerosissimi sermoni, anche se non tutti di sicura attribuzione. Nel discorso 61, tenuto in occasione del Natale, così scrive il santo vescovo torinese, mettendo in stretta relazione il cosmo, la nascita di Cristo e la remissione dei peccati: “La creazione stessa dice l’imminenza di qualche cosa che la rinnoverà e desidera con attesa impaziente che lo splendore di un sole più fulgido illumini le sue tenebre. Questa attesa della creazione invita anche noi ad attendere il sorgere di Cristo, nuovo sole, perché illumini le tenebre dei nostri peccati. Il sole di giustizia, con la forza della sua nascita, dissiperà la lunga oscurità delle nostre colpe”.
La grande tradizione patristica manifesta la sua vitalità per tutti secoli dell’età di mezzo, restando inserita nella liturgia e nella predicazione nella Chiesa novarese, una chiesa che mantiene al centro della sua riflessione e della sua azione il mistero dell’incarnazione, al di là di tutte le successive riduzioni folcloristiche e sentimentali del grande mistero del Natale.

Le chiese scomparse. Intervento di don Paolo Milani alle conferenze Fai

Don Paolo Milani, direttore dell’Archivio storico diocesano

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