Ci vuole coraggio per parlare di nichel, cadmio, arsenico contenuti nei chicchi di riso. Verrebbe da dire: ci mancava anche questa, dopo la siccità, la riduzione della superficie, il crollo dei prezzi all’origine. Ancora: il “no” dell’Ue al rinnovo della clausola di salvaguardia che blocca le importazioni selvagge.
Invece viene portato alla luce un “tabù” che da anni girava in risaia, se ne discuteva, ma nessuno osava sdoganarlo nel timore di creare allarmismo. In realtà il pericolo per la salute non è mai esistito, anche perché i residui di questi contaminanti definiti inorganici sono sempre stati al di sotto della soglia consentita, sovente rilevati soltanto nel terreno. Ma la forte e prolungata siccità del 2022 ha acuito il fenomeno, soprattutto per quanto riguarda il cadmio, metallo che diminuisce l’efficacia a contatto con l’acqua. Tanto che in molte partite di riso grezzo, ancora stipate e invendute nei magazzini dei produttori (a giugno ancora 200 mila tonnellate) sono state riscontrate presenze residuali di cadmio superiori rispetto alla norma.
Ecco perché l’Ente Nazionale Risi, attraverso il Centro ricerche di Castello d’Agogna (PV), ha deciso di avviare un monitoraggio di tutta la risaia italiana (in particolare Vercelli, Novara, Pavia) che durerà tre anni con il supporto di chimici agrari delle Università di Piacenza e Torino. Un progetto sperimentale per mettere al riparo la produzione e soprattutto i consumatori, anche in vista di un nuovo regolamento europeo volto a limitare il contenuto di nichel totale negli alimenti. La proposta è di porre il limite a 0,50 mg/kg per il riso bianco, ovvero già sbramato e pronto da consumare. Per quanto riguarda l’arsenico e il cadmio il limite è già stato ridotto da 0,20 a 0,15. Entro questi parametri il cereale made in Italy potrà essere immesso sul mercato. L’operazione trasparenza di Ente Nazionale Risi tende a tranquillizzare il mercato e garantire un prodotto salubre, inattaccabile sotto il profilo scientifico e nutrizionale.
I ricercatori hanno rilevato che i tre metalli possono modificare la loro presenza residuale nel terreno a seconda della gestione dell’acqua, elemento indispensabile, che può fare la differenza. In particolare per quanto riguarda il cadmio la siccità dello scorso anno ha influito notevolmente favorendo l’innalzamento del contaminante. Sin qui nessun pericolo per il consumatore, ma si vuole evitare che un aumento incontrollato possa influire sull’apprezzamento del prodotto e di conseguenza sulla commercializzazione. Nello studio condotto da Marco Romani e Daniele Tenni, ricercatori di Ente Nazionale Risi, è stato notato che la distribuzione di calcio nel terreno può diminuire i livelli di cadmio nei chicchi. Un primo risultato importante, che stimola ad approfondire la ricerca. L’Ente di tutela del riso italiano vuole sgombrare il campo da ogni dubbio e garantire un’immagine limpida del prodotto.
A maggior ragione in un momento critico, con rimanenze al di sopra della soglia delle scorse annate. Le giacenze non sono dovute alla presenza di contaminanti, ma all’evoluzione del mercato: quotazioni troppo alte che hanno spinto a ricarichi di prezzo sugli scaffali e di conseguenza a un crollo delle vendite al dettaglio; frenata degli acquisti da parte dell’industria e importazioni concorrenziali di riso proveniente dal Sudest asiatico che sovente non tiene conto delle restrizioni europee negli alimenti. A tutto ciò si aggiunge l’allarme lanciato per i contaminanti che, pur non avendo superato la soglia, potrebbero rappresentare un altro problema per il futuro prossimo. Tutti d’accordo in risaia: massima chiarezza e trasparenza per preservare il nostro riso made in Italy.
Gianfranco Quaglia, direttore di Agromagazine