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Sono rimasti in pochi a poter dire: “io…c’ero”. Fra loro Alessandro Maiocchi, conosciuto ancora come “Massiccio”, che fu il suo nome di battaglia all’epoca della Liberazione. È nato il 5 dicembre 1928 a Fontaneto d’Agogna e, vivente nella sua casa a Borgomanero, è entrato nel novantaseiesimo anno di vita. Il piccolo Alessandro è stato costretto a crescere in fretta. Era il 1937, aveva nemmeno nove anni, quando perse in pochi mesi mamma e papà. Fu mandato in collegio a Gozzano a finire le Elementari e poi fu accolto dai nonni paterni alla Cacciana, frazione di Fontaneto. Qui Alessandro lavorò nei campi, accudì gli animali, impegnato dal mattino presto alla sera tardi. Fu in questi anni che prese l’amore per l’agricoltura: «Senza agricoltura – dice – non c’è vita. Anche in un’epoca come la nostra, così tecnologica, rimane l’attività fondamentale».

È stato anche dipendente della Cigardi (divenuta poi Omcsa e infine Gom) di Borgomanero. «Sono cresciuto con persone – ricorda pensando alla sua gioventù – che lavoravano parecchio, ma in modo onesto e dignitoso nel rispetto degli altri».
Politicamente è rimasto legato agli ideali gramsciani, «ma non al Partito Comunista che li ha traditi». Una vita dura, la sua, accompagnata dal desiderio di libertà maturata per reazione «alle persone che, per le loro idee, erano mandate al confine, perdevano il lavoro e prendevano manganellate». Naturale per lui entrare nei gruppi della Resistenza quando era ancora adolescente – nel 1943 aveva 15 anni – e un volto che dimostrava perfino qualche anno in meno. Era staffetta partigiana e «andavo in bicicletta in tanti paesi a portare messaggi, spesso anche con qualche bomba a mano nascosta da qualche parte».

Non aveva paura? «Macché paura – ricorda come se stesse ancora vivendo quei momenti – andavo dove ero comandato». Un volta però se la vide brutta. Era il 7 settembre 1944. A nord della provincia, era stata costituita la Repubblica dell’Ossola. Il Cusio era zona di tensione di movimenti con scontri (da una parte) fra fascisti, SS e tedeschi della Wehrmacht e (dall’altra parte) alcuni gruppi di partigiani garibaldini.

«Rientro da Novara – ricorda – e non faccio in tempo a scendere dalla bicicletta che un partigiano (“Pel” il suo nome di battaglia) mi chiede di andare fino a Gozzano, per sapere di spari e assalti. Ho fame, ma ci vado. Giungo alla Baraggia di Gozzano e passo vicino a due uomini su una moto Guzzi. Li sento sussurrare: “sì, è proprio lui, prendiamolo”. Capisco la situazione, scatto come molla, ma mi fermano e mi chiedono i documenti. Sulla carta d’identità c’è scritto il nome Alessandro Maiocchi, ma non sanno che sono anche “Massiccio” e loro cercano proprio “Massiccio” ma non non sono stati in grado di fare il collegamento».

Però Alessandro risulta essere residente alla Cacciana, luogo noto per una folta presenza di partigiani. Non per nulla questa località sarebbe stata incendiata poco tempo dopo, il 20 settembre 1944. In quanto della Cacciana, Alessandro Maiocchi viene sospettato di essere una spia. Viene picchiato a sangue. Anche un tedesco gli dà del bandito e giù botte. Viene portato a Gozzano, davanti al municipio, denudato, messo al muro. Gli sparano sopra la testa e intorno al corpo senza colpirlo, ma intimandolo di indicare dove si nascondono i partigiani, ma lui non parla.
«Arriva sera – aggiunge ripercorrendo i momenti drammatici di quella vicenda – mi dicono che si riprenderà il giorno dopo. Vengo caricato su un pullman, come ricovero per notte, con altri partigiani e borghesi».

Il mattino dopo, nella piazza di Gozzano, «arriva un camion con merce, frutto di un razzia ai danni della famiglia Zerlia, titolare di una trattoria con bottega alimentare. Per me, è un momento provvidenziale: i fascisti sono distratti dalla merce. Allora dico che ho bisogno di andare in bagno e il fascista che avevo accanto mi lascia libero andando anche lui verso le merce». Alessandro Maiocchi scappa, riesce a divincolarsi da un altro fascista e incontra una giovane donna che lo nasconde nel sottotetto di casa sua. La ragazza gli porta perfino da mangiare: brodo, pane e tre fichi. Quindi la fuga verso Gargallo, Vergano, la valle del Sizzone fino alla Barbarana, dove vi erano dei partigiani guidata da Alfonso Langhi.

«Langhi mi dice che vi sono dei fascisti catturati nella zona della Baraggia di Gozzano. Con sorpresa, scopro che erano quelli che mi avevano coperto di botte. Mi fanno pena e dico loro: vi perdono. non è con violenza che si conquista la libertà. Poi sono venuto a sapere che anche loro erano passati fra i partigiani». Alessandro ritorna alla Cacciana, incontra nonna Esterina che si spaventa nel vederlo tanto malconcio. «Che cosa ti è successo?». «Sono caduto in bicicletta – la risposta – ma ora sto bene e vado a trovare i miei amici partigiani».

Dopo la guerra, “Massiccio” ha continuato nella sua battaglia, questa volta senza armi, «per diffondere quei valori di libertà e di giustizia per quali si era combattuto». Fino a qualche anno, Alessandro Maiocchi era una presenza certa a tutte le manifestazioni sulla Resistenza, accompagnato sempre dalla moglie Ombretta Valsesia, nativa di Cascina Fontana (Talunitt), fra Santa Cristina e Cressa, conosciuta quando era giovanissima e assai bella. Insieme hanno lavorato come artigiani, costruito una casa con giardino in via Novara a Borgomanero e avuto due figlie.

Maiocchi ha scritto libri, poesie, ha fatto costruire monumenti, altri li ha sistemati e mantenuti con cura. Ora ne sta proponendo uno in ricordo dell’industriale Alberto Saini di Cressa, ucciso nel terribile settembre 1944. Ha fondato, insieme al compianto gozzanese Ugolino Barciocco, la sezione di Borgomanero e Fontaneto dei Volontari per la Libertà del Piemonte, intitolandola a Pizio Greta, la sua brigata garibaldina. Fra i tanti riconoscimenti, il presidente Oscar Luigi Scalfaro gli ha conferito il titolo di Cavaliere della Repubblica italiana. Da Sandro Pertini gli è arrivato il “Diploma d’onore al combattente per la libertà d’Italia”. La Confartigianato gli ha consegnato il diploma di “Maestro d’opera e d’esperienza».

La sua casa è una sorta di museo. Fra i tanti cimeli: il gagliardetto originale della Brigata Pizio Greta, con le cinque medaglie d’oro assegnate, in varie occasioni, dai comuni di Cureggio, Cavallirio, Castronno, Vobarno e Cadegliano. C’è una bandiera tricolore della Repubblica dell’Ossola: una serie di documenti originali e centinaia di foto su momenti degli anni della Resistenza nel Novarese. E poi: quadri dipinti dall’artista aronese Biancini.

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