Condividi su

Festa della mamma 12 maggio ricorrenza che fa eco al 1°maggio: festa dei lavoratori. La similitudine è chiara: a nessuno sfugge oggi che fare la mamma sia, a tutti gli effetti, un lavoro, perché richiede un grande dispendio di energie fisiche e mentali, ed è un lavoro perché diventa ogni giorno di più un compito prestativo e che si distingue per il merito. Obiettivo: fare il meglio ed essere la madre migliore.
Il tutto comincia già dai primi vagiti del piccolo (giusto per ignorare con delicatezza la gravidanza). La posizione in culla è fondamentale per il suo sviluppo e la madre deve verificare che sia sempre correttamente rispettata, pena l’essere tacciata di negligenza.

A seguire, il ritmo, la durata, la scansione temporale dell’allattamento. E’ su questo punto che le madri oggi cominciano le loro prime battaglie sindacali, perché l’allattamento a richiesta pretende una “reperibilità” h24 che non tutte sono disposte a concedere.

Si passa poi, senza soluzione di continuità, allo svezzamento più o meno naturale, normato o autosvezzato, con taglio sicuro, non casuale, e il tutto richiede un’altissima competenza e preparazione specializzata. E poi la scelta del nido o della babysitter o della rinuncia al proprio lavoro retribuito, la scuola materna con feste e lavoretti, lo sport, immancabile e focalizzato sulla salute e lo sviluppo armonico del figlio, ma anche nel rispetto delle sue inclinazioni, la scuola pubblica o paritaria, l’eventuale attività agonistica o laboratoriale/creativa, il trasporto rapido e indolore (la cosiddetta “mamma-taxi”).

E così potremmo continuare in un elenco, chiaramente ironico, ma non lontano dal generare il pensiero che fare la mamma sia un’occupazione che richiede una particolare e specifica professionalità, peraltro aggiornatissima e multidisciplinare.

Eppure ogni madre sa di non avere competenze professionali particolari rispetto al proprio essere madre, e anzi, che spesso le proprie competenze professionali vacillano davanti alle richieste o alle necessità di un figlio. Ecco allora che questa festa, vorremmo potesse ricordare a tutti e a tutte le mamme, che “mamma” non si coniuga con “fare”, che da “mamma” non si va in ferie, nonostante gli estenuanti turni notturni e mattutini.

“Mamma” è prima di tutto e profondamente un essere, un talento silenzioso e nascosto, una attitudine profonda e precisa, una cosa che una volta avremmo chiamato vocazione. Ed è curioso che la festa della mamma cada nel mese dedicato a Maria, così come il 1° maggio sia la festa di San Giuseppe lavoratore.

Ci piace allora chiederci in cosa risieda questo talento nascosto, questa attitudine, questa inclinazione (dal verbo inclinare, pendere verso l’altro). Forse risiede nello sguardo, nell’uso sensibile dei sensi. Essere madre significa imparare a toccare l’altro, senza fargli male, ma anche senza lasciarselo sfuggire, e significa anche imparare a non-toccare l’altro, rispettando uno spazio di autonomia necessario affinché cresca e impari lui stesso a toccare con rispetto ciò che lo circonda.

Essere madre significa ascoltare la voce che tu sola hai compreso per lunghi mesi, e capire che un giorno avrà cose da dire a te e al mondo, e non sarai più l’unica a poterla interpretare. Essere madre significa guardare oltre la mano che un figlio stringe, per immaginare dove poterlo condurre perché possa sbocciare come uomo o donna del futuro. Essere madre significa indossare sempre lo stesso profumo di casa, perché quel figlio non si perda, e se si perde, possa ritrovare un abbraccio che non giudica. Essere madre significa, in fondo, dimenticare ogni prestazione richiesta dal mondo, per insegnare al figlio ad amare il suo tempo e a renderlo migliore. E questo essere è il più bell’augurio che ogni madre possa rivolgere a se stessa.

Margherita Invernizzi

Condividi su

Leggi anche

Editoriali

La Speranza che cambia i cuori

Gianluca De Marco

Editoriali

Le “chiese di mattoni” ci ricordano che siamo Chiesa di persone

Redazione

(Foto Sir / AFP)
Editoriali

Se le risorse vanno in armi non ci sono soldi per la sanità

Don Renato Sacco