«Le intermittenze del cuore», che troviamo al centro di uno dei più celebri libri di Eugenio Borgna, citano nel titolo uno dei suoi autori più cari, come faceva spesso lo psichiatra e saggista novarese. In questo caso è Proust, richiamato per descrivere «quei soprassalti che ci riportano improvvisamente a eventi, cose o persone rimaste nell’ombra, marginali, che aprono una prospettiva sfuggente e rivelatrice».
La citazione di poeti e scrittori, oltre che filosofi e pensatori, è il tratto distintivo della sua lezione e dei suoi libri, perché «cosa si nasconde in ogni anima, ferita e lacerata dal dolore e dall’angoscia è complesso da decifrare» e allora servono maestri. Lo stesso Borgna è stato un maestro come pochi altri novaresi nell’ultimo Novecento, dallo storico della letteratura Carlo Dionisotti al narratore Sebastiano Vassalli, dall’archistar Vittorio Gregotti al teologo morale Giannino Piana, fino al medievista Giancarlo Andenna. Da san Paolo di «Come uno specchio oscuramente» al Rebora di «Apro l’anima e gli occhi», i suoi titoli pubblicati da Feltrinelli a Einaudi, sono stati sempre amati dal pubblico, spesso con numeri da best seller. Ma perché Borgna ha deciso di fare illuminare le sue pagine dalle intuizioni di autori più o meno vicini con questa impostazione di scrittura basata su molte citazioni? La motivazione sta nella convinzione che le conoscenze mediche non bastino a scandagliare la malattia psichica e che per comprendere l’interiorità di chi soffre, per alleviarne il dolore, occorra attingere ad altre aree conoscitive, quelle filosofiche e letterarie in primo luogo.
Amava molte autrici come Emily Dickinson e Simone Weil, Teresa di Lisieux e Antonia Pozzi. E in un aureo libro sulla Saggezza edito dal Mulino, uno dei suoi titoli da tenere sul comodino, aveva spiegato la sua idea delle «parole che curano», che in un altro titolo sono «Parole che ci salvano»: «nella mia vita molte volte mi sono trovato in situazioni che richiedevano parole di saggezza, e non so se sono riuscito a trovarle». Aveva aggiunto: «Le parole sono talora un pericolo, non sempre sono accolte con fiducia: è necessario andare alla ricerca di quelle che fanno del bene». Con un’avvertenza: «non dimentichiamo che siamo responsabili non solo delle parole che diciamo, ma anche di quelle che non diciamo, o non possiamo dire». Così lo psichiatra novarese si occupava dei malati prima ancora che delle malattie, pioniere di una cura dal volto umano. Diceva, sorridendo, che la poesia aveva salvato la sua psichiatria o antipsichiatria… E nella sua prospettiva il cuore dev’essere al centro del discorso ancor prima della scienza e della tecnica e naturalmente dell’intelligenza artificiale, di grande utilità ma non predominante sugli aspetti umani.
In uno degli ultimi colloqui, in occasione del libro promosso dal festival della dignità umana, aveva invitato a «salvare il silenzio in un momento storico in cui lo si aggredisce da molte parti», perché per lui «l’ascolto della voce del silenzio significa coscienza dei nostri limiti e apertura a una comunità», un «elemento che cura e ristora: è prezioso provare ad ascoltare il silenzio». L’eredità di Eugenio Borgna sta in questa lezione e i suoi libri possono continuare ad essere l’aiuto nei momenti di incertezza interiore, come si era augurata l’amata Emily Dickinson: «Ch’io sia al tuo fianco quando la sete verrà».
Roberto Cicala