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A chi penserebbe oggi don Lorenzo Milani? Su cosa (e per cosa) ci chiederebbe di impegnare davvero il nostro tempo di educatori? A cento anni dalla nascita – che ricorre sabato 27 maggio -, in tanti istituti scolastici a lui intitolati, si fa memoria della sua figura. Tra gli altri, un convegno a Domodossola metterà al centro quell’“I care” che ha fatto scuola (e storia).

Don Milani si era posto come obiettivo schierare il pensiero e l’azione della Chiesa a favore degli ultimi, degli emarginati, degli “scarti”. Di coloro che dalla scuola sono esclusi.

Troppi negli anni ‘50 e ‘60, ma troppi ancora oggi. Secondo i dati Censis 2022, i giovani 18-24enni usciti precocemente dal sistema di istruzione e formazione sono il 12,7%. Nei Paesi dell’Unione europea la quota di 25-34enni con il diploma è pari all’85,2%, in Italia al 76,8%.

È inferiore alla media europea anche la percentuale di 30-34enni laureati: il 26,8% contro una media Ue del 41,6%. Non solo: il nostro Paese detiene anche il primato europeo per il numero di Neet, i giovani che non studiano e non lavorano: il 23,1% dei 15-29enni a fronte di una media Ue del 13,1%.

Don Milani, oggi, direbbe senza termini che l’Italia ha davvero un problema: quello dei giovani italiani che si perdono. Invitando a mettere al centro non solo la lotta alla dispersione scolastica, ma anche facendo entrare la scuola nell’agenda politica “del futuro” e non solo dell’ordinario.

Certo, tutto questo sarebbe davvero un bell’omaggio a don Lorenzo. Anzi, no: agli italiani. Perché lui ci ha insegnato a pensare cosi.

Paolo Usellini, direttore dell’Ufficio Scuola della Diocesi di Novara

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