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Un salto nel passato. È la sensazione, positiva, vissuta domenica scorsa a Rovegro in occasione dei festeggiamenti del patrono san Gaudenzio. In comunione con la diocesi novarese, la borgata alpina alle porte della Val Grande, ha rinnovato la sua fede per il santo vescovo, attraverso semplici gesti e riti che – tramandati di generazione in generazione – raccontano la bellezza e la storia di queste genti.

La messa al mattino e la processione al pomeriggio sono stati il cuore della giornata, a cui hanno preso parte tante persone, residenti e anche “foresti”; tra questi ultimi, molti hanno radici a Rovegro e per la festa puntuali tornano, anche per portare la statua per un tratto di processione. E, forse, senza nulla togliere al resto, proprio questo è l’aspetto che più colpisce. È l’attaccamento che in molti hanno per la processione lungo un tracciato che dalla chiesa sale fin su in cima al paese, tra strette viuzze acciottolate; scalini che generazioni di abitanti del luogo hanno calpestato quotidianamente, carichi dei loro fardelli di legna, fieno e pensieri; tra le case, quelle dove abitano da secoli famiglie con cognomi che si rincorrono, come Fantoli e Lietta, e quelle dove oggi tra le mura sbrecciate e i tetti in piode resta il ricordo di chi le ha vissute.

Una processione resa ancor più solenne dalla presenza della Banda musicale di Bracchio, diretta dal maestro Umberto Ellena, e segnata dalla presenza di diversi giovani – questo è bene sottolinearlo – che hanno contribuito alla buona riuscita. Il tutto si è concluso in chiesa parrocchiale con la solenne benedizione eucaristica impartita dal parroco, don Giuseppe Calore. Il suono delle fisarmoniche e i mercatini in piazza sono stati il corollario perfetto di una festa popolare dal sapore antico.

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