Meno del 50% dei votanti. È la prima volta che accade alle elezioni. L’astensione (più forte al Sud) non è mai stata così ampia e questo nonostante sia stata mitigata per la votazione contemporanea per tanti Sindaci. Dietro al risultato elettorale, possiamo però leggere un’altra storia: chi è andato alle urne ha premiato tre fattori: moderazione, radicamento e stabilità.
Il Piemonte, in questo senso, rappresenta una sorta di esempio quasi perfetto con la riconferma di Alberto Cirio. Il presidente uscente aveva come referente nella precedente legislatura la Lega di Salvini che ha fatto una campagna populista e movimentista ma è stata pesantemente rimensionata (dal 37,11 al 9,40%) ed è ora solo quarta nelle preferenze degli elettori piemontesi. Fratelli d’Italia, forte di quasi due anni di governo nazionale ne prende il posto con il suo 24,23%, ma solo parzialmente. Cresce infatti fortemente la componente moderata, quella rappresentata dalla lista Cirio Presidente e da Forza Italia che con i suoi nove consiglieri eletti doppia la Lega e si colloca a poca distanza dagli 11 consiglieri di FdI.
Il ridimensionamento del partito di Salvini porterà ad aprire un dibattito, anche congressuale, fra la linea del segretario e del generale Vannacci, nazionalista e sovranista e quella territoriale dei sindaci e degli Zaia e Fedriga che era stata messa in secondo piano a quanto pare ingiustamente. L’importanza della territorialità e del radicamento è la seconda linea guida di queste elezioni. Il Pd ha avuto un buon risultato con gli ex sindaci oltre che dal presidente dell’Emilia Romagna, Bonaccini. Ma anche gli altri partiti, Lega inclusa, hanno avuto un riscontro dagli elettori quando in campo c’erano figure che avevano una connessione al locale.
A livello europeo, è indiscutibile che si è assisitito ad uno scivolamento verso lo scetticismo dell’Istituzione di Bruxelles, un sentimento che sembrava essere stato anticipato dal’Italia nel 2022 con la vittoria della Meloni. Oggi, il capo del governo su posizioni più moderate (appunto…) e accreditata dal consenso personale che ne fa una leader senza rivali all’interno del suo stesso partito e del centrodestra. Ha dimostrato che non sono le forme istituzionali, presidenzialismo o cancellierato, a dare stabilità e benessere, ma la politica con le sue idee e le sue proposte. In Italia la Meloni ha messo quasi fuori gioco il puro voto di protesta che altrove ha imperversato, conquistando credito personale con il governo del paese.
A questo punto, la presidente del consiglio si deve confrontare con una responsabilità di governo non solo nazionale, ma europeo. Ieri, l’Italia sembrava la grande malata del vecchio continente. Oggi, la guerra mette in crisi nazioni delle quali, per decenni, gli italiani hanno ammirato la stabilità politica e la crescita economica come Francia e Germania. Adesso, il Governo o meglio Giorgia Meloni personalmente ha credibilità e fiducia e, quindi, anche la possibilità di farsi ascoltare, a differenza di altri che, invece, sono stati messi in discussione.
Per recitare un ruolo a beneficio del nostro paese, dovrà in qualche modo avvicinarsi al Partito Popolare che detiene la golden share dell’Europa e la possibilità di deciderne il governo. Anche se, probabilmente, non potrà permettersi il lusso di rompere con i socialisti europei. Quanto, quando e come Giorgia Meloni in questo contesto sarà in grado di interloquire con i Popolari europei (come riuscì a fare il migliore Berlusconi, che pure partiva da posizioni euroscettiche) costituisce il tema centrale di questo tempo.
Pier Luigi Tolardo