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«La gente ci guardava e diceva che venivamo a portare via case e lavoro. Un po’ quello che dicono oggi degli stranieri. Tutte chiacchiere, tutte fandonie. Siamo sempre state persone lavoratrici e rispettose, uomini e donne che hanno dovuto lasciare le proprie terre, molti ancora in fasce, e ricostruirsi una vita qui. Ci siamo sempre sentiti italiani».

A parlare è Ausilia Zanghirella, 86 anni, originaria di Dignano d’Istria, a una decina di chilometri da Pola,
giunta a Novara dal campo di Civitavecchia il 10 gennaio del 1950 insieme a mamma, papà e quattro tra fratelli e sorelle.

Ora vive al Villaggio Dalmazia e tra qualche giorno sarà una dei testimoni dell’esodo nel
Novarese, chiamata, in occasione del Giorno del Ricordo del 10 febbraio, dall’Istituto Storico della Resistenza e dall’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia a raccontare la sua storia ai più giovani. In particolare agli studenti delle scuole.

Una data, quella del 10 febbraio, che vuole rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre di istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra.

«Quando lasciammo Dignano eravamo in nove. Mamma, papà e sette figli, di cui uno di pochi mesi. Papà scelse di mandare due sorelle in collegio per qualche mese perché per nove persone non c’era posto da nessuna parte. Ci riunimmo poi qui a Novara».

A Civitavecchia, Zanghirella ricorda le sofferenze e le angherie subite: «eravamo arrivati a bordo di un treno della vergogna, dove non c’era un posto neppure in piedi. E dove, chiedendo dell’acqua per preparare il latte per un bimbo piccolo, a Bologna eravamo stati apostrofati …

Articolo completo, con altre notizie dal territorio della Diocesi di Novara, è sul nostro settimanale in edicola da venerdì 7 febbraio. Il settimanale si può leggere abbonandosi o acquistando il numero che interessa cliccando qui.

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