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Una Resurrezione che è danza, che è centro della fede, che è amore capace di far respirare, di colorare l’esistenza, di far sognare. Il vescovo Franco Giulio Brambilla ha scelto l’ultima scena della Parete Gaudenziana, nella chiesa della Madonna delle Grazie di Varallo (riprodotta in un arazzo esposto in cattedrale), per concludere l’omelia della domenica di Pasqua.

«Una scena che ricalca un’iconografia diffusa – ha detto –. Eppure, qui Gesù è dotato di una leggerezza che in altri dipinti non ha. Una leggerezza che restituisce bene la gioia del Risorto».
La Messa in Duomo, celebrata domenica 20 aprile, ha concluso i riti della Settimana Santa presieduti dal vescovo.

Il Triduo pasquale si era aperto giovedì con la Messa in Coena Domini, che – come da tradizione – ha visto i ragazzi del catechismo del centro città partecipare alla lavanda dei piedi. Dopo la celebrazione, il vescovo li ha accompagnati a vedere un altro dipinto del Ferrari, custodito in una cappella della navata sinistra del Duomo.

Durante la Messa di Pasqua, commentando il Vangelo di Luca e citando alcuni versi dell’inno “Victimae paschali laudes”, il vescovo ha individuato tre chiavi per «entrare nel mistero della Pasqua».
Anzitutto, il ruolo delle donne, prime testimoni della Resurrezione. «Per i contemporanei di Gesù – ha osservato – era come un pugno nello stomaco: pensate che nell’antichità le donne non potevano testimoniare in un tribunale. Eppure, la donna, nella famiglia e nella maternità, è la custode della vita. Lo sguardo sul mistero pasquale ha bisogno di uno sguardo femminile».

Nella galleria fotografica, le immagini di alcuni momenti delle celebrazioni del Triduo in Cattedrale

Secondo punto, le parole degli angeli: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?” «È il duello tra la vita e la morte di cui parla l’inno – ha spiegato –. È ciò che fa pulsare il cuore della fede e dona senso alla vita cristiana. Chiediamoci nella nostra quotidianità come vincere la morte. Come convertire i mille piccoli gesti mortiferi che compiamo in altrettanti segni di vita: la tenerezza, l’attenzione, l’affetto».
Infine, il dolore e la speranza. «L’amore non cancella in un colpo di spugna il dolore. Aiuta le ferite a rimarginarsi, ma le cicatrici restano. Anche il Gesù del Giudizio universale, nella Cappella Sistina, ha ancora le piaghe visibili. Ed è proprio attraverso queste prove della vita che costruiamo il nostro cammino verso la salvezza».

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