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Carissimi, nei prossimi giorni, vivremo insieme il pellegrinaggio diocesano a Roma nell’Anno Santo 2025. Attraverseremo insieme la Porta Santa, vivremo momenti di celebrazione, preghiera e condivisione. Avremo anche la gioia di partecipare, mercoledì 19 febbraro, all’ordinazione episcopale di mons. Filippo Ciampanelli.

Alla vigilia della partenza, vorrei recuperare qui la riflessione sui due temi fondamentali che orientano il nostro cammino giubilare: il pellegrinaggio e la speranza, che ho proposto in altri due appuntamenti importanti di questo itinerario: la celebrazione di apertura del Giubileo in diocesi, lo scorso 29 dicembre, e la festa patronale di san Gaudenzio.

Il pellegrinaggio

Il pellegrinaggio ad limina apostolorum, sulle tombe degli apostoli Pietro e Paolo, intende farci ritornare alle radici della fede. Una riflessione spirituale sul pellegrinaggio deve ricuperare le forme con cui l’uomo e la donna, per rinnovare la propria identità, possono attingere a una riserva di senso che colmi la loro natura estroversa e pellegrinante. L’uomo e la donna devono abitare uno spazio e un tempo “altro” e incontrare “altri” per ritrovare se stessi. Essi si formano nella relazione all’altro da sé e attraverso il racconto dell’esperienza di un incontro. L’homo faber che produce e trasforma, calcola e costruisce, quantifica e accumula, ha bisogno dell’homo viator che si meraviglia e incontra, che perde tempo per trovare il proprio ritmo temporale, che esce da sé per ritrovare se stesso.

In ogni epoca storica l’uomo afferma, nei modi con cui esce dalla sua casa, dal suo paese, dalla sua patria per mettersi in viaggio, l’immagine di sé e la ricerca del suo destino: il “pellegrino” si rivela come bisognoso di redenzione e cerca una purificazione trascendente; l’“esploratore” si comprende come l’uomo microcosmo che insegue orizzonti inesplorati; il “viaggiatore” si rivela come un’anima sensibile e percorre i paesaggi della cultura umana; il “vagabondo” si manifesta nella sua identità fluida e si perde in un vagare senza meta.


Pellegrinaggio giubilare 2025 e Ordinazione episcopale di don Filippo Ciampanelli

Il racconto del pellegrinaggio della Chiesa novarese al Giubileo 2025 e dell’Ordinazione episcopale di mons. Filippo Ciampanelli


Il pellegrinaggio giubilare, allora, vuole essere una provocazione: andare alle sorgenti della nostra fede e della nostra cultura per cambiare vita e convertire noi stessi, riconoscendo l’altro e ritrovandoci nel diverso da noi. L’altro non è un nemico ostile e concorrente, ma un tu promettente e benefico. Solo così potremo smontare tutte le nostre paure, costruire legami forti, superare le polarizzazioni di cui vediamo ogni giorno triste spettacolo in TV, sui social, nella comunicazione pubblica. Dobbiamo dircelo con franchezza: invochiamo la pace, ma poi il nostro parlare, decidere e fare ha spesso il tratto minaccioso della paura, dell’indifferenza e dell’aggressività. Prima nelle parole, che nei fatti!

La vita in speranza

Se questa è la dimensione più autentica del pellegrinaggio, il pellegrinaggio nella speranza – tema del Giubileo 2025 – richiede tre passi concreti. In questo anno giubilare la speranza viva ci chiede anzitutto di mettere in ordine le cose della nostra esistenza, di porre al primo posto ciò che deve stare al centro, il Signore e le cose decisive della vita, del lavoro e della famiglia. Ognuno di noi deve cominciare a mettere ordine nella propria vita, dare una gerarchia alle cose che si vivono. Bisogna ridare ordine alla nostra vita mettendo al centro il primato dell’anima e dello spirituale, della carità e della compassione!

Il secondo passo, dopo aver messo ordine nella propria vita, è “rendere ragione di una speranza a caro prezzo”. Occorre saper dire se al centro della nostra vita c’è veramente una speranza a caro prezzo, che è una speranza viva, secondo quanto afferma san Pietro nella sua prima Lettera (cfr. 1Pt 1,3). Oggi è una testimonianza difficile da dare, soprattutto in alcuni contesti della vita umana, come la realtà familiare, lavorativa e sociale. Vincono i poli estremi della contrapposizione o della mimetizzazione – magari nell’ambiente di lavoro dico a me stesso: “Sono cristiano sì, ma non lo rivelo, non si sa mai!” – Anche noi cristiani abbiamo paura di “rendere ragione della speranza che è in noi” (cfr. 1Pt 3,15).

Il terzo e ultimo passo è lo stile della vita in speranza che la prima Lettera di Pietro disegna con tre caratteristiche: la nostra testimonianza di cristiani (cfr. 1Pt 3, 15-16) – ma deve essere così per ogni uomo – deve avvenire con dolcezza di fronte a chi chiede; con rispetto: termine che noi usiamo solo in modo orizzontale inteso come rispetto dell’altro e invece secondo la sacra Scrittura è anche il timore di Dio, sapendo che se abbiamo un atteggiamento superbo siamo sottoposti in ogni caso allo sguardo di Dio; e deve avvenire con buona coscienza (1Pt 3,16). Espressione stupenda che dice quel modo di essere per cui davanti allo specchio della sera posso guardarmi senza vergognarmi.

Questo è il cammino che il Giubileo ci propone, e questo è l’invito che desidero lasciare a ciascuno di voi, per il pellegrinaggio che vivremo insieme e per l’intero cammino di questo anno giubilare.

Franco Giulio Brambilla, Vescovo di Novara


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