«Affrontare il tema dell’immigrazione parlando solo ed esclusivamente di sbarchi è banalizzare un argomento complesso».
Anna Pozzi, giornalista e scrittrice, redattrice del mensile “Mondo e missione”, lunedì 2 ottobre alle 20.30, all’oratorio di Borgosesia, sarà relatrice dell’incontro “Stranieri sopra la terra. Da fenomeno planetario a condizione umana”, nel ciclo “Cuori ardenti, piedi in cammino” promosso da Missio Novara per l’Ottobre Missionario.
«Far riferimento solo agli sbarchi è davvero – ribadisce – una grande banalità. Soprattutto se si considera che solo lo scorso anno abbiamo accolto in Italia 170mila profughi dall’Ucraina senza che si parlasse di un problema e senza discutere. Sulla rotta mediterranea, sono decisamente meno, siamo a quota 130mila, e si parla di invasione. È un controsenso».
Pozzi, a Borgosesia, cercherà di mettere a fuoco questi nodi, spiegando le ragioni che spingono i migranti ad abbandonare la propria casa. La giornalista, che ha realizzato molti reportage dall’Africa e dal Medio Oriente, specializzata in migrazioni, nuove schiavitù e tratta di persone, racconterà anche la condizione vissuta da chi lascia la propria terra, o è costretto a farlo.
Una condizione di ‘alterità-estraneità’, di spaesamento, che prova chi deve lasciare tutto ciò che ha: «la propria casa, la cultura, le tradizioni», tutto quanto ha contribuito a dare vita «alla sua identità».
La persona straniera, il migrante, da una parte evidenzia le dinamiche di un mondo globale «con tutte le sue contraddizioni, ingiustizie e diseguaglianze». Dall’altra mostra a tutti le sfide dell’incontro con l’altro, con il diverso. «La domanda: “Chi è l’altro?”, rinvia a un’altra questione: “Chi sono io?”. E non è detto – rimarca la giornalista – che sia più semplice rispondere a quest’ultima…».
Da qui si arriva alla necessità, all’importanza, dell’accoglienza, per cui serve superare l’idea di frontiera. Una frontiera «che sia quella che divide i Paesi o metaforicamente le persone, per rileggere il limite, il confine, non come chiusura, ma – dice Pozzi – come possibilità di apertura verso un oltre e verso un altro con uno sguardo rivolto su ogni orizzonte dell’umano».
Oggi, spiega Pozzi, è importante puntare «su alleanze trasversali in cui la qualità delle relazioni prevale sulle semplicistiche logiche dell’appartenenza». Qualcosa che non «può che accadere e verificarsi con l’accoglienza». Un «gesto faticoso ma fecondo. Riconoscere l’altro, per riconoscere anche se stessi», erigendo, mattone su mattone, «possibilità concrete e responsabili di creare reti o riannodare fili spezzati».
E come può avvenire l’accoglienza e, soprattutto, il dialogo? «Solo se ciascuno – dice Pozzi – accetta di costituirsi come interlocutore». Così il dialogo diventa possibile e le comunità crescono «nella condivisione dinamica e generativa di valori, idee, progetti». Come anche di desideri personali e collettivi. Occorre quindi partire dal basso. Questa la strada per «creare – conclude la giornalista – società più aperte e inclusive, in cui la comunicazione e la collaborazione sono sempre possibili nella misura in cui ciascuno interpreta e vive la pluralità delle idee e delle culture non come minaccia, ma come prospettiva arricchente». Ovviamente occorre saper trovare un «equilibrio tra alterità e identità. Per vivere da cittadini – e non da estranei – su questa terra».