Lettere spedite dai lager, oggetti confezionati per mantenere vivo il legame con i familiari ma anche voci di umanità e affetto – generose e disperate come quelle manifestate da una madre che si dichiara “nemica del popolo” (quando non lo è) pur di preservare la fiducia della figlia nella giustizia sovietica e quindi darle una vita meno tribolata.
È questo il contenuto della mostra “Uomini nonostante tutto”, a Novara da fine mese, promossa dalla Fondazione Russia Cristiana e da Memorial, associazione che ha raccolto, studiato e denunciato migliaia di crimini del regime sovietico.
Per il valore della sua opera Memorial ha vinto il Premio Nobel per la Pace 2022 e ha oggi un ruolo fondamentale sia sul piano della ricerca storica sia come realtà impegnata nella difesa dei diritti umani.
Una parte del suo lavoro si materializza nel percorso della mostra scorrendo la quale, tra lettere e oggetti, si possono trovare documenti di rilievo e riscoprire vicende di uomini e donne normali, finiti nei gulag spesso da innocenti.
«Le persone di cui si narra – spiega Adriano Dell’Asta, docente di Lingua e letteratura russa alla Cattolica di Milano e vicepresidente di Russia Cristiana – sono le più diverse. Alcune non hanno alcun rapporto con la politica e sono leali nei confronti del proprio Paese. Spesso sono lì solo perché, è il caso di molte donne, sono famigliari di ‘traditori della patria’. In realtà non c’era un reale motivo per essere reclusi nei gulag».
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