Da mesi ormai ci stiamo preparando con gioia e trepidazione a celebrare i cinquant’anni di fondazione del nostro monastero, nato qui, sull’Isola San Giulio, l’11 ottobre 1973, data scelta in memoria dell’apertura del Concilio Vaticano II, durante il quale Maria fu solennemente dichiarata da Paolo VI, Madre della Chiesa.
Salgono spontaneamente dal cuore le parole del salmo: «Ecco l’opera del Signore: una meraviglia ai nostri occhi» (Sal 118,23). Sì, è così chiaro, soprattutto a noi, che la storia della nostra comunità è una limpida conferma di quanto il Signore, e Lui solo, può fare utilizzando strumenti umanamente non idonei allo scopo. La sua è una logica proprio diversa dal nostro comune buon senso. Per Madre si sceglie una vergine, nasce in un luogo sconosciuto, rimane nell’anonimato per trenta anni; per formare la sua Chiesa arruola poveri pescatori non certo dotati di spirito organizzativo… e muore su una croce, deriso e abbandonato dai più.
Allora non c’è da stupirsi dei nostri “modesti inizi” caratterizzati dalla più grande povertà di mezzi economici e di persone. Anche la collocazione geografica non aiutava affatto. È stato scritto che le isole sono luoghi strani… «e più sono piccole più risultano indecifrabili e sorprendenti nella loro bellezza. Con i loro silenzi, i loro canti, le loro solitudini… ma anche quanto basta per innamorarsi del bello e di Dio» (Maria Teresa Abignente). E per noi è stato proprio così: fino a quasi inebriarci attingendo e bevendo con gioia alle fonti del Salvatore. Sì, perché il tempo, scandito dalla solitudine e dal silenzio, ci ha permesso di ricevere forza dalla Parola di Dio e di farla diventare l’alimento cui attingere per donare poi ai fratelli la sua gioia e la sua consolazione.
Proprio il tempo, che passa in maniera così fugace in un’epoca tanto frenetica, aiuta a riscoprire quello che è definitivo, che non passa. C’è un verso di un poeta – Giuseppe Centore – che esprime bene questo. Rivolgendosi a Dio, dice: «È per te / che il mio tempo non passa / in te cade / e diventa domani». Ecco, la vita monastica nel concitato fluire del tempo, sempre più accelerato, dei nostri giorni, riporta alla possibilità di avanzare ancorandosi a quello che non passa, all’eternità.
È un grande aiuto ricordare che non siamo come lampi nella notte che subito spariscono senza lasciare traccia, ma siamo chiamati all’abbraccio di Colui che dura per sempre. La vita umana è infatti chiamata all’eterna giovinezza di Dio. Come scriveva la nostra Madre fondatrice Anna Maria Cànopi: «Cristo non è uscito dal tempo, ma vi è rimasto per fare entrare il tempo – noi – nell’eternità. Pregare con Lui, nello Spirito, significa perciò riconsegnare ora per ora, istante per istante la nostra esistenza alla fonte da cui è scaturita».
Per questo la nostra presenza come comunità monastica può e vuole essere un richiamo a vivere anche il fluire del tempo come un prezioso passaggio che ci mantiene fin d’ora ancorati all’eterno.
Con l’aiuto di Dio continueremo dunque a fare quanto abbiamo cominciato a compiere cinquanta anni fa: pregare, lavorare, amare, portando in cuore l’anelito di ogni uomo a contemplare in eterno il volto del Padre.
Madre Maria Grazia Girolimetto
Abbadessa del monastero Mater Ecclesiae di San Giulio