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 La Basilica gremita come sempre, la processione dei fedeli allo Scurolo, un San Gaudenzio che torna alla normalità. È la cifra della patronale 2023, che dopo gli ultimi due anni di restrizioni – con gli accessi limitati e le reliquie di Gaudenzio portate davanti all’altare – ha recuperato tutti i contorni della tradizione.

A partire dal “Discorso alla città e alla diocesi” [qui il testo integrale] del vescovo Franco Giulio Brambilla che ha unito uno sguardo alla società civile e alla comunità ecclesiale mettendo al centro il tema del volontariato e l’urgenza di donargli un’anima, come ha anticipato in questa intervista al nostro giornale, e mettendo in luce due rischi: quello che l’eccessiva istituzionalizzazione porti ad un «impoverimento del volontariato gratuito» e quello che i giovani ne restino esclusi. L’altro è che i giovani sembrino “assenti dal servizio, ma le inchieste indicano uno dei motivi nel fatto che gli adulti non danno a loro sufficientemente spazio”.

I poveri infatti li avete sempre con voi

Il filo rosso del discorso è stato l’episodio dell’”Unzione di Betania” del Vangelo di Marco e quell’olio di «nardo preziossimo» che la donna usa per Gesù, ricevendo i rimproveri per le risorse “sprecate”, invece che essere donate ai poveri. «Permettiamo alla Chiesa di rimanere presso la croce, liberandola dall’essere solamente una società di mutuo soccorso. Solo così scopriremo di avere occhi nuovi per i poveri. Gesù ce li mostra di nuovo con un indicativo sconcertante: “I poveri infatti li avete sempre con voi”» è stato il commento del vescovo.

Una chiamata ai fedeli

«I poveri – ha detto il vescovo – sono una realtà vera e chiedono alla Chiesa di essere ascoltati e accolti. Se però Gesù non ce li mostra nella giusta luce, essi possono essere solo un bisogno da soddisfare, una relazione di aiuto da servire, un numero statistico da indagare, un progetto da sostenere, una micro o macrorealizzazione da promuovere. Per il Vangelo i poveri sono un “appello” che Gesù ci invia perché noi possiamo scoprire la nostra chiamata».

L’interruzione della celebrazione

Una chiamata che durante la celebrazione è risuonata nell’urlo di un giovane che per un momento ha interrotto la celebrazione «e che ci ha mostrato – ha commentato il vescovo al termine – come non sia facile essere accanto ai poveri. Non è sufficiente rispondere a un bisogno. Ma serva capacità di ascolto, di relazione».

Un «compito» che cambia nel profondo

Uno stile della vera carità cristiana che si rispecchia in quel «per sempre» pronunciato da Gesù e che dice di un «compito»: «Il “sempre” di Gesù – ha spiegato Brambilla – esclude che si possa essere a mezzo servizio con i poveri, che ci si possa accostare con l’atteggiamento del “mordi e fuggi”. Dare una mano, aiutare nel volontariato, contiene un interrogativo forte sulla nostra identità. “Dare una mano” significa “stringere una mano” per camminare insieme. Fare il volontario non può lasciarti come prima, non può non cambiarti la vita. Uno non può essere competitivo e arrivista al lavoro durante la settimana e vestire al sabato i panni del volontario. Pertanto bisogna superare la pratica di un volontariato solo estemporaneo, improvvisato, che non persiste nell’impegno».

Un impegno comune

E poi, l’ultima sottolineatura del vescovo, la carità non può che essere una «chiamata comune». «La storia interminabile della carità non è tanto la storia di singoli profeti o di operatori isolati – ha detto -, ma i grandi santi della carità sono stati trascinatori di altre persone, punti di attrazione di innumerevoli vocazioni, capaci di contagiare in poco tempo la vita di molti. La carità (e la Caritas) non può procedere divisa, in ordine sparso, secondo la logica del piccolo è bello. Per la carità si esige coralità, senso del gioco di squadra, investimento comune, convergenza di forze, unità di risorse o come si dice oggi “fare rete. Senza concorrenze e gelosie».

Dopo l’apertura dello Scurolo, la festa prosegue con l’ottavario tutta settimana. Qui il programma completo.

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