Una “Spoon river” in dialetto pubblicata a Novara.
Parlare con i morti. Non quelli morti e basta, ma “i morti più morti di tutti”, quelli dell’ossario, «i più dimenticati».
È quanto fa Gianfranco Pavesi, fondatore dell’Academia dal Rison, in “Al cor di ǜltim”, poesia presente ne l’“Antulugia dal fupón” (Antologia del cimitero), raccolta di testi in dialetto da presentare (il 26 maggio, alle 21,15) nella sala della Madonna Pellegrina con ospiti “I Barlafüs”.
«È nel dialetto di Borgolavezzaro – commenta Pavesi – è il mio paese ‘linguistico’, quello dei nonni materni. L’ideatore dell’antologia, Silvano Crepaldi, nel coinvolgerci, ci ha detto: “deve essere il morto che parla”. Per questo, ho pensato ai morti più morti». Che raccontano “sùmän chì tücc mis-cià, sensä nom, sensä dat, sensä futugrafij, sensä cèr, sensä fiur né scirin” (“siamo qui tutti mischiati, senza nomi, senza date, senza fotografie, senza lumini, senza fiori né ceri”).
Alla fine «mi chiedono una preghiera “in dialöt” che “se è la lingua degli ultimi, è più vicina al cielo”».
Pavesi è tra i 27 autori che hanno collaborato alla confezione dell’antologia.
A parlare i trapassati, illustri e sconosciuti, che riposano al cimitero. Raccontano confidenze e fatti curiosi. Il tutto nella lingua materna.
L’“Antulugia dal fupón” è il secondo volume della collana “La léngua muribunda” di Asinochilegge.
Il libro – spiega Crepaldi – «è la “Spoon River” novarese. Ogni poesia racconta, in forma di epitaffio, la vita
dei “residenti” del cimitero».
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