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di Gianfranco Quaglia*

Quando arrivò in Italia, era il 1972, giovanissima studentessa di architettura, il suo paese d’origine era la Persia, oggi tutti lo conoscono come Iran. “Venivo da Teheran – racconta – dove c’era lo Scià, Reza Pahlavi e, con lui, l’imperatrice consorte Farah Diba. Avrei dovuto rimanere qui qualche anno, per studiare architettura d’interni all’Accademia delle Belle Arti di Milano. Poi, la rivoluzione islamica del 1979, nessuno poteva presagirlo. In Italia ho messo radici, trovato lavoro e l’amore, mi sono sposata ed eccomi qui…”.

Il sorriso si spegne sul volto di Soheila Dilfanian, quando parliamo di Iran. Atelier-laboratorio a San Nazzaro Sesia, via Fratelli dell’Olmo, dove Sohelia (in persiano significa stella) dà vita e anima al vetro. L’arte vetraria occupa grande parte della sua vita, una passione diventata attività riconosciuta a livello internazionale. “E pensare che avrei voluto progettare case”. Lontani quei giorni in cui frequentava a Genova e a Milano il politecnico sognando di diventare architetto d’interni. Tutto accadde durante la ristrutturazione di un appartamento nel capoluogo lombardo: “C’erano vetrate da rivedere, ridare smalto e colori, così cominciai e mi accorsi che il vetro, sì, anche un solo piccolo frammento, sarebbe stato il mio futuro”. L’altro colpo di fulmine: l’incontro tra l’artista iraniana e un agricoltore che sarebbe diventato suo marito, una nuova vita a Casaleggio dove negli anni ottanta il marito avvia un’azienda agricola per la produzione di energia alternativa. In quel paese muove i primi passi, poi il trasferimento a San Nazzaro Sesia, dove il laboratorio viene trasformato in un autentico “tempio del vetro”. Da qui il trampolino verso i successi: chiamata e restaurare o costruire vetrate nelle chiese del Novarese e del Vercellese; espone a New York, progetta la grande vetrata per un centro commerciale a Singapore, il trofeo per le Olimpiadi invernali a Torino, una scultura sull’11 settembre a Ercolano; collaborazioni con il museo di Venaria Reale. E’ diventata un riferimento negli ambienti religiosi, dopo aver frequentato un master in architettura e arte per la liturgia al Pontificio Ateneo di Roma.

Questa è la storia di successi personali. La cronaca è più amara. E le si inumidiscono gli occhi, quando la sfiora. “Sì, ogni sera guardo la tv e piango, pensando al mio paese, al mio popolo, ai parenti e agli amici che ho ancora in Iran. Sono in contatto con molti di loro, a Teheran ho nipoti figli di mio fratello, li sento, ci scambiamo messaggi sui social quando riusciamo, in verità né sovente né a lungo. Può comprendere perché…Tutti noi, iraniani all’estero e comunità internazionale, più che fare pressione sull’opinione pubblica altro non possiamo”.

A maggio del 2022 era stata a Teheran per trovare i famigliari. “Com’era la situazione? Ogni cosa sembrava calma in apparenza, nessuno poteva immaginare quello che sarebbe accaduto da lì a pochi mesi. Ma la tranquillità era subordinata a una condizione: è sufficiente obbedire. Le drammatiche notizie che arrivano ogni giorno ci dicono che la reazione non è soltanto nella capitale, ma fra i giovani di tutto l’Iran, che riescono a sfidare anche le restrizioni imposte alle comunicazioni. Impossibile fermare i numerosi canali informativi, anche se è molto rischioso. Ogni giorno penso a loro, leggo su Instagram quello che accade, un incubo. E piango. So che sarà ancora molto difficile, non basta la pressione dell’opinione pubblica internazionale. E’ necessaria anche un’azione forte delle istituzioni occidentali, ma ci sono in gioco molti interessi economici”. 

Quando lasciò la capitale all’inizio degli anni 70 le donne ricoprivano ruoli importanti anche nel mondo della politica e della magistratura, a volto e capo scoperti. Anzi, in molti casi era proibito coprire la testa. Così Sohelia arriva in Italia, con l’intenzione di specializzarsi e tornare a casa per continuare a vivere libera ed emancipata. Non è andata così. Nel frattempo la rivoluzione imponeva l’hijab, quello stesso copricapo che Oriana Fallaci fu costretta a indossare durante la famosa intervista a Khomeyni, ma che si sfilò davanti a lui in un gesto di aperta sfida. L’emancipazione, Sohelia l’ha trovata prima nelle aule delle nostre università, poi fra le risaie del Novarese. Il suo laboratorio è diventato anche scuola di formazione per studenti e studentesse che vogliono perfezionarsi nella decorazione su vetro. “Attività che ho proseguito sino all’arrivo del Covid, poi ho dovuto interrompere. Adesso spero di riprendere. Il lavoro non manca, ma non voglio neppure cercarlo. Sino a due-tre mesi fa postavo sui social proposte e ricerche. Ora nessuno di noi iraniani all’estero ha la forza di promuovere la sua attività, quando vedi che la tua gente soffre e sta facendo sacrifici per la libertà. No, non si può far pubblicità di lavoro in momenti come questi, ci si vergogna”.

* Direttore di Agromagazine, www.agromagazine.it

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