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Nel Codice numero uno, della raccolta di manoscritti medievali custoditi nell’Archivio Capitolare di Santa Maria, tra le varie vite di santi, è presente anche la “vita beati Benedicti abbatis”, una copia del XIII secolo della celebre vita dell’abate cassinese, scritta da Gregorio Magno nel secondo libro dei “Dialoghi”.

La presenza nei testi della Cattedrale della vita di Benedetto testimonia la diffusione e la continuità di un riferimento che, durante i secoli, ha abitato il territorio della diocesi gaudenziana.

Una storia che si è prontamente rinnovata proprio nel Novecento, con la nascita di tre comunità monastiche che si ispirano al santo abate: il monastero della Santissima Trinità di Ghiffa, fondato nel 1906, il priorato dei santi Pietro e Paolo di Germagno, costituitosi nel 1971, e l’abbazia Mater Ecclesiae dell’Isola San Giulio, di cui si celebra in questi giorni il 50° di fondazione.

Benedetto continua a informare – ossia a dare forma – di sé il territorio e soprattutto le persone della Chiesa novarese, attraverso delle presenze preziosissime, che in questo tempo di aridità spirituale, possono diventare una risorsa straordinaria di umanità, spiritualità e cultura. La forza di questa esperienza trova certamente un punto di riferimento irrinunciabile nella Regola, un classico vero – e per questo sempre attuale – della vita spirituale (ma per niente spiritualistica, anzi …). Da quasi quindici secoli, un piccolo libro, composto da un prologo e 73 brevi capitoli, ha dato origine, e continua a farlo, ad una serie impressionante di istituzioni, di monasteri, di scuole di biblioteche, di chiese, di santità di uomini e di donne, di cultura, di umanità, di riferimento sociale ed economico per vaste popolazioni. Un libretto scritto da un uomo del V e VI secolo del centro Italia, di profonda cultura latina, ha saputo diventare fonte vitale per uomini e donne vissute, fino ai nostri giorni, in luoghi, tempi e culture così differenti.

Come ricordava Benedetto XVI nello splendido discorso del settembre 2008 a Parigi, qual era (e quale deve continuare ad essere anche oggi) l’intenzione decisiva di un monaco? “Il loro obiettivo era: quaerere Deum, cercare Dio. Nella confusione dei tempi in cui niente sembrava resistere, essi volevano fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò che vale e permane sempre, trovare la Vita stessa. Erano alla ricerca di Dio. Dalle cose secondarie volevano passare a quelle essenziali, a ciò che, solo, è veramente importante e affidabile”.

Proprio la continua ricerca di Dio ha generato nei secoli di vita monastica una quantità straordinaria di altre cose, tanto che – come attesta lo storico Leo Moulin – “I monaci sono all’origine, inconsapevole e involontaria, di un movimento economico e sociale così profondo, così diversificato e vasto che l’evoluzione del Medioevo sarebbe difficilmente spiegabile senza la loro presenza e la loro azione. in questo senso, San Benedetto e con lui i Benedettini sono i «padri dell’Europa» nel senso pieno del termine, sia dal punto di vista storico che sociologico”. L’autentica ricerca di Dio genera del bene a tutti i livelli. Invece una preconcetta chiusura verso il trascendente, non può che impoverire la nostra umanità, come ancora concludeva Benedetto XVI nel discorso parigino: “Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi”.

Ringraziamo san Benedetto, ringraziamo quelle donne e quegli uomini che ancora oggi, nelle nostre terre, ci offrono una testimonianza vivente – nella continua ricerca del cielo – di una nuova umanità.

Don Paolo Milani, direttore dell’Archivio diocesano e referente episcopale
per i monasteri

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