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«La convivenza con il lupo è possibile, ma bisogna fin d’ora insegnargli quali sono le situazioni dalle quali deve stare lontano».

Uberto Calligarich, veterinario, responsabile per anni del Cras – Centro recupero animali selvatici provinciale, e grandissimo esperto di fauna selvatica, fa chiarezza sugli allarmi che si stanno diffondendo per il ritorno del lupo nelle nostre valli. Non solo il lupo, ma anche un orso, che probabilmente gira per la Val Grande; la lince, le nutrie – che qualche problema lo creano – e il gruccione, un uccello dagli splendidi colori, arrivato qui alle temperature più miti. Ma ad agitare gli animi negli ultimi mesi è il lupo.

«Il problema è che ci ha colti impreparati, come è avvenuto qualche anno fa con la comparsa del cormorano – spiega il dottor Calligarich. – Ci ha spaventati perché non ce l’avevamo e gli allevatori si sono abituati a una zootecnia che potremmo definire “bucolica”, lasciando capre e pecore libere in montagna. È chiaro che il lupo, come tutti gli esseri viventi che devono mangiare, se trova prede sicuramente più facili di caprioli o volpi si getta sul gregge».

Qualche pericolo riguarda anche i cani: «Li vede come rivali e prede al tempo stesso. Se sono cani di piccola taglia da caccia o, peggio ancora, da compagnia, è bene tenerli al riparo e non lasciarli fuori alla catena», dice Calligarich.

Oggi ci sono pochi esemplari

La premessa fondamentale, spiega il veterinario, è che la fauna selvatica è in crescita ovunque. «La popolazione abbandona la montagna e il bosco guadagna terreno. Non ci sono più le aree coltivate a foraggio o con alberi da frutta, con le specie tradizionali del mondo agricolo, gli arbusti e i pascoli. Ad esempio, al Mottarone sono cresciuti nuovi boschi, dove un tempo c’era il foraggio. Ma la fauna selvatica non lascia poi spazio ad altre specie. Il lupo in questo quadro trova le condizioni ideali. Bisogna ritrovare un equilibrio» sottolinea Calligarich.

I lupi si spostano molto, anche per decine di chilometri al giorno. E così circolano video e foto di esemplari vicini alle strade o ai centri abitati. Ma, prosegue Calligarich, è impossibile che attacchino l’uomo. «Innanzitutto, a differenza dell’inizio dell’Ottocento, quando ci furono degli episodi di branchi di lupi affamati che aggredivano anche gli umani, non c’è più la “rabbia”.

E soprattutto ora ci sono gruppetti di massimo cinque esemplari, che scappano alla vista dell’uomo. Hanno paura di noi. Certo, non bisogna spaventarli o infastidirli. Alle condizioni attuali, non si può prendere in considerazione l’ipotesi che ci sia pericolo per l’uomo».

L’articolo integrale sul nostro settimanale in edicola venerdì 10 febbraio e disponibile anche online.

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