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«La divina leggerezza della vita in speranza». Ha scelto un’espressione di Gabriel Marcel il vescovo Franco Giulio Brambilla lo scorso 13 aprile ala Santuario di Boca, parlando ai ragazzi che da tutta la diocesi erano arrivati al Santuario per vivere insieme la Veglia delle Palme 2019, l’appuntamento diocesano della Gmg: l’ultimo del triennio mariano voluto da Papa Francesco, che ha proposto Maria come una testimone “giovane” della fede. Un intervento il suo, che è stato una vera e propria esortazione al coraggio di sperare, fatta ai giovani di una generazione per la quale il lavoro, le relazioni, le prospettive «troppo spesso fanno del futuro non più una promessa, ma una minaccia» e rilanciata con le parole del “filosofo della speranza”, «che ha trovato la forza di scriverle nel 1942 a Parigi, proprio quando sembrava non esserci più futuro e le truppe naziste sfilavano sotto l’arco di trionfo».

L’incontro, in programma nella città di Omegna e trasferito a causa delle avverse condizioni meteo, si era aperto nel pomeriggio con uno spazio per l’Adorazione – curato dal gruppo Luce nella Notte– e con una tavola rotonda sul tema “Cercatori di felicità”, con ospiti il gesuita missionario in Cina (e originario di Borgomanero) Emilio Zanetti e l’atleta paralimpico Daniele Cassioli. A fare da volontari, tanti scout e ragazzi dell’oratorio di Omegna. La celebrazione ha preso il via con l’arrivo dell’immagine della Madonna del Sangue di Re, icona-simbolo del triennio consegnata in un’ideale staffetta ai giovani omegnesi da quelli di Varallo, dove si era tenuta la Veglia 2018.

A guidare la serata il direttore della pastorale giovanile don Marco Masoni, con le letture di Elena Valli e Michele Bazaretti, che si sono alternate a segni e testimonianze: l’intervento della giovane coppia di sposi Matteo e Francesca Della Vecchia e la performance del mimo Marco Migliavacca, con una grande mongolfiera, simbolo dei sogni di speranza dei giovani.
E’ proprio ai sogni dei giovani, che il vescovo si è rivolto. «La parola “speranza” – ha detto il vescovo – oggi sembra essere afflitta da diverse patologie. Nel tempo della società gassosa che ci spinge a cercare risposte e gratifiche nell’immediato, l’attesa del futuro esige di correggere queste malattie e di mettere in luce i germogli positivi».

Un’esigenza per rispondere alla quale il vescovo ha indicato quattro passi, «che sono come i quattro lati di un quadrato», che si chiude ancora con un’espressione di Marcel.
Il primo di questi lati, ha detto il vescovo, è l’atteggiamento di fondo, lo stato di speranza che riguarda tutti gli uomini: «Io spero». Atteggiamento che poi si costruisce in forme pratiche dello sperare «Io spero che»: l’esito di un esame a scuola, il risultato di un lavoro, la possibilità di avere tempo per gli amici.

La speranza, però, come la mongolfirera presente sull’altare a Boca, apre anche a una dimensione verticale che nasce proprio dalla tensione tra l’«io spero» e l’«io spero che». E’ l’«io spero in» qualcosa di più grande, che per i cristiani diventa «io spero in Te…»: la fede in Cristo Risorto.
Ma questa speranza cristiana è viva e vitale solo se è vissuta insieme: solo se è «Io spero in Te… per noi», come scriveva Marcel. «Perché, vedete ragazzi – ha concluso mons. Brambilla -, lo slancio della speranza viva nasce da voi stessi, ma non si ferma lì: è per tutti, per tutti noi».

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