Anno dedicato al riso, il 2025. Alle celebrazioni di anniversari e al futuro del cereale di cui Novara è uno dei vertici del cosiddetto “triangolo d’oro”. Si parte subito, il 10 gennaio, al Castello Sforzesco del capoluogo, con una rassegna pittorica voluta da Ente Nazionale Risi e dalla presidente Natalia Bobba. S’intitola “Rapsodia della risaia” e propone una quarantina di quadri dello scomparso pittore vercellese Enzo Gazzone, realizzati in una ventina d’anni, una viva testimonianza della coltivazione e della cultura del riso antecedenti la meccanizzazione. Alla rassegna, aperta e a ingresso libero sino al 2 febbraio, seguiranno iniziative spalmate durante tutto l’arco dell’anno.
Sempre a Novara, in primavera (il 22 e 23 marzo) il Fai (Fondo ambiente italiano) organizza una visita e un convegno nella sede della sezione Ente Risi, a Palazzo Orelli, che si affaccia su Piazza Martiri. Luogo storico e emblematico: qui nel 1931 il senatore Aldo Rossini fondò Ente Nazionale Risi, poi trasferito a Milano.
Dal capoluogo novarese a Vercelli, con un altro passaggio storico: nel 1925, quindi un secolo fa, nella stazione sperimentale di risicoltura e delle colture irrigue, il professor Giovanni Sampietro sperimentava e introduceva, prima volta in Italia e in Europa, la tecnica dell’incrocio tra varietà diverse di riso. Una svolta che avrebbe rivoluzionato il comparto sino a quel momento incardinato sulla tradizione e poco o nulla sulla ricerca, ora indispensabile per creare linee resistenti alle avversità climatiche e agli attacchi parassitari.
L’ibridazione, attività oggi usuale per i “breeders”, fu alla base qualche anno dopo (siamo nel 1945) della nascita di quello che è considerato il principe delle varietà risicole Made in Italy: Carnaroli. Il riso più conosciuto, punta di diamante di ristoratori, chef e dei consumatori nella preparazione del risotto. L’ottantesimo anniversario di quel battesimo, quasi ammantato di leggenda, sarà ricordato a Paullo (provincia di Milano) dove il Carnaroli nacque durante il “parto” frutto di un incrocio i cui capostipiti si confondono tra storia e leggenda. A cominciare dal nome. Siamo alla cascina Casello di Paullo, allora di proprietà di Achille De Vecchi. Risicoltore illuminato, incarica il fattore (ma c’è chi sostiene fosse l’adacquatore) di realizzare attraverso un’ibridazione di due varietà, un riso dai chicchi grandi e resistenti alla cottura. Quel dipendente, cognome Carnaroli, s’ingegna e alla fine realizza un cereale (figlio di un incrocio tra Vialone e Lencino) che avrebbe segnato la storia moderna della risicoltura. C’è chi dice, invece, che quel super-riso sia stato battezzato con il cognome del commissario di Ente Nazionale Risi, Ettore Carnaroli. Comunque sia, in primavera sarà festeggiato l’ottantesimo compleanno di un’eccellenza, che fa la differenza nel panorama mondiale del riso. Oggi al Carnaroli Classico (che detiene la leadership della categoria) si ispirano anche altre varietà che appartengono alla stessa famiglia, ma non possono fregiarsi della stella principale: Karnac, Carnise, Keope, Zar, Carnaval. Se ne parlerà anche alla Fiera in Campo di Caresanablot (VC), tra il 21 e 23 febbraio.
Ad aprile si affronterà il tema “Riso e salute” in occasione del “Fuori Salone” a Milano, mentre a maggio è programmato un convegno tecnico-scientifico. Settembre, infine, sarà il mese clou con “Risò”, la prima Fiera Internazionale del riso, che si svolgerà a Vercelli dall’11 al 14, con molte iniziative: un convegno divulgativo cui interverrà anche il ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e foreste, Francesco Lollobrigida; oltre a un “Open Day” al Centro Ricerche sul Riso di Castello d’Agogna (PV), dove si potrà ammirare il “Risegno”, una realizzazione in campo per celebrare gli anniversari.
Non programmato, ma da non dimenticare, nel 2025 cade il 550° anniversario di un episodio che segnò l’inizio di una risicoltura imprenditoriale in Italia. Siamo a poca distanza da Novara, tenuta Villanova di Cassolnovo ed è il 1475: le cronache ci tramandano di due lettere firmate da Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano, un anno prima di essere assassinato, inviate al duca di Ferrara Ercole d’Este. Quelle missive accompagnano dodici sacchi di riso coltivato nelle terre lomelline, come dono al collega di sangue blu. Un segno di apprezzamento e al tempo stesso d’orgoglio per il risultato ottenuto.
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Gianfranco Quaglia