«Quando si ricorre alle armi è la fine del dialogo, la fine della ragione, le parole cessano di essere tali». E’ un Tony Capuozzo a 360 gradi quello che si pone davanti ai ragazzi del Liceo Classico e delle Scienze Umane don Bosco di Borgomanero. In una mattinata di luce, l’inviato del Tg5, di Terra e di altre trasmissioni realizzate con il suo marchio, parla con i giovani, discute di guerra, solidarietà, mafia.
Lo bersagliano di domande, lo chiamano in causa sulle opinioni relative alla guerra. E lui, con una calma e un’impassibilità mostruosa, risponde a colpo su colpo. La giornata, nata sotto l’egida del Rotary Club Orta San Giulio, presente il suo presidente Stefano Ferrari che aveva ospitato Capuozzo la sera precedente in un noto locale di Orta per parlare di “Guerre senza fine”, è parsa dall’inizio proficua.
I ragazzi avevano preparato un filmato con la storia di questo giornalista che si definisce, come ha detto chiaramente a don Giuliano Palizzi e a Giovanni Campagnoli preside dell’Istituto, «inviato di frontiera» ed inizia a sciorinare la sua vita da giornalista, iniziando dall’America Latina, in Bolivia a La Paz, per parlare di Iraq, Pakistan e Afghanistan e fermarsi sul suo incontro “base” quello con il salesiano don Pietro Zego, friulano come lui, cristiano in un Pakistan mussulmano e con il fiato dei talebani sul collo.
I ragazzi non si lasciano intimorire da questo “mostro sacro del giornalismo” che ha sfidato fortuna ed età pur di realizzare il suo sogno di «scrivere e viaggiare». La prima domanda arriva da una bordata classica «perché ha scelto di fare il giornalista?».
Capuozzo, per nulla spaventato parla delle sue aspirazioni scolastiche, dell’Istituto nautico che avrebbe voluto fare e non ha fatto, della facoltà di Sociologia e della raccomandazione ai giovani «unite il talento al lavoro e il lavoro alla passione , fate ciò che la passione vi dice». Primi applausi, sinceri, che lo toccano. Poi la richiesta di spiegare l’evoluzione delle guerre dal 1945 ad oggi. «Le guerre sono cambiate come è cambiata la società, la tecnologia, ma è il contenuto delle stesse che è sempre uguale nella storia»; non si ferma a questa; la domanda sembra rinvigorirlo, parla del tentativo di mediazione di Papa Francesco per la guerra in Ucraina, per finire a puntare il dito sull’Europa e l’Italia in particolare «di non aver saputo attuare dei tentativi di mediazione e capire come la situazione non abbia tanti sbocchi».
I giovani sono giustamente curiosi, voglio meglio comprendere il perché di certe cose «quali sono i momenti nei quali ha avuto più paura?» gli chiedono con una sana curiosità. «Tutte le guerre sono pericolose, ma quello che spaventa di più oltre le ferite è la paura del sequestro, cosa che ho provato tantissimo nei Balcani negli anni novanta» risponde Capuozzo quasi con nostalgia, come se quell’esperienza lo avesse segnato più delle altre e, per calare il sipario sulla questione bellica afferma «vedere oggi che c’è una guerra alle porte dell’Europa disillude tantissime generazioni di giovani, che non capiscono il perchè».
L’ultima domanda è sulla mafia. La soluzione, secondo il giornalista è «un violento cambiamento culturale della società».
L’ultimo colpo di coda del reporter è per la guerra in Ucraina «nessuna guerra lascia un mondo migliore; oggi non vedo leader in grado di governare queste tensioni».
Un grande applauso mette fine all’incontro. Ora tutti in classe. Il vecchio cronista saluta e lascia la sala con una luce di speranza negli occhi: la stessa che ha trasmesso ai giovani liceali, quello di un mondo migliore. Domani.